Rudolf Rocker

Anarchia: propositi e scopi

(1938)

 


 

Nota

Il testo da cui è preso questo scritto fu redatto da Rocker su invito di Emma Goldman e destinato alla pubblicazione presso una casa editrice inglese. L'autore individua nel Liberalismo e nel Socialismo le due correnti di pensiero che hanno ispirato la concezione anarchica che è andata poi ben al di là di queste due espressioni politico-culturali. E in ciò consiste la sua originalità e il suo pregio.

Fonte: Rudolf Rocker, Anarcho-Syndacalism. Theory and Practice, Estratti dal Capitolo I, 1938.

 


 

L’Anarchia è una precisa corrente intellettuale dei nostri tempi, i cui aderenti sono favorevoli all’eliminazione dei monopoli economici e di tutte le istituzioni politiche e sociali coercitive che esistono all’interno della società. Al posto dell’attuale regime economico capitalistico, gli anarchici vorrebbero che si formasse una libera associazione di tutte le forze produttive sulla base di attività cooperative che avrebbero, come loro unico scopo, il soddisfacimento delle esigenze necessarie di ogni membro della società, e non più, come obiettivo, gli interessi particolari di minoranze privilegiate.
In luogo dell’attuale organizzazione statale con il suo apparato artificiale fatto di istituzioni politiche e burocratiche, gli Anarchici vorrebbero una federazione di libere comunità unite tra di loro da interessi comuni, economici e sociali, e che organizzino le loro attività sulla base di accordi volontari tra le parti e di liberi contratti.
Chiunque studi a fondo lo sviluppo economico e sociale dell’attuale sistema riconoscerà facilmente che queste finalità non sono il frutto di idee utopiche nate nell’immaginario di alcuni fertili innovatori, ma sono il risultato logico di un esame dettagliato dei disagi sociali attuali che, in ogni nuova fase delle presenti condizioni sociali, si manifestano in maniera sempre più netta e malsana. I monopoli moderni, il capitalismo e lo stato totalitario, sono solo le ultime espressioni di una tendenza che non poteva dare che questi risultati.
Lo straordinario sviluppo dell’attuale sistema economico, che porta ad un enorme accumulo di ricchezza sociale nelle mani di una minoranza privilegiata e ad un continuo impoverimento di grandi masse di persone, ha preparato la strada per l'attuale reazione politica e sociale e l’ha favorita in ogni modo. Questo sviluppo ha sacrificato l’interesse generale della società all’interesse particolare di qualche individuo, e ha sistematicamente minato i rapporti tra gli esseri umani. Le persone hanno dimenticato che lo sviluppo industriale non è fine a sé stesso, ma dovrebbe essere solo un mezzo per assicurare alle persone la loro esistenza materiale e rendere loro accessibili le opportunità offerte da una più elevata cultura intellettuale. Quando l’industria diventa tutto e l’individuo è nulla, allora entriamo nell’ambito di uno spietato dispotismo economico il cui agire non è meno nefasto di quello prodotto dal dispotismo politico. I due dispotismi si rafforzano l’un l’altro e si abbeverano alla stessa fonte.
La dittatura economica dei monopoli e la dittatura politica dello stato totalitario sono il risultato degli stessi obiettivi politici. I padroni che presiedono a entrambe queste dittature hanno la presunzione di tentare di ridurre tutte le infinite espressioni della vita sociale alle cadenze meccaniche della macchina e di adattare tutto ciò che è organico agli ingranaggi artificiali dell’apparato politico. Il nostro moderno sistema organizzativo ha spezzato, in ogni paese, l’organismo sociale, dando vita al suo interno a classi tra loro ostili; e all’esterno ha infranto la comunanza culturale generando nazioni nemiche tra di loro. E sia le classi che le nazioni si confrontano apertamente come avversarie e, attraverso il loro permanente stato di guerra, introducono continue convulsioni nella vita sociale. L’ultima guerra mondiale e le sue terribili conseguenze, che sono in sé stesse solo il risultato dei conflitti ancora in corso per la supremazia economica e politica, sono lo sbocco logico di questa insopportabile situazione che ci condurrà, inevitabilmente, ad una catastrofe generale se lo sviluppo sociale non prenderà, quanto prima, un nuovo indirizzo. Il semplice fatto che la maggior parte degli stati sono nell’obbligo di spendere dal cinquanta al settanta per cento delle loro entrate per la cosiddetta difesa nazionale e per il pagamento dei vecchi debiti di guerra è la prova della non sostenibilità della situazione presente, e dovrebbe far capire a tutti che la presunta protezione offerta dallo stato agli individui esige un prezzo astronomico da pagare.
Il potere continuamente crescente di una burocrazia politica senz’anima, che sovraintende e mette sotto tutela la vita delle persone, dalla culla alla bara, sta ponendo ostacoli sempre più grandi ad una cooperazione solidaristica tra gli esseri umani e sta soffocando ogni possibilità di nuovi sviluppi. Un sistema che, in ogni atto della sua vita, sacrifica il benessere di larghi settori della popolazione, o meglio, di intere nazioni, alla brama egoistica di potere e agli interessi economici di esigue minoranze, deve per forza dissolvere tutti i legami sociali e portare ad una guerra costante di tutti contro tutti.  Questo sistema ha semplicemente aperto la strada a quella enorme reazione intellettuale e sociale che trova attualmente espressione nel moderno Fascismo, che supera di gran lunga, quanto a ossessione per il potere, le monarchie assolute dei secoli passati, e che cerca di porre sotto il controllo dello Stato ogni sfera di attività umana. Così come per i vari sistemi teologici, Dio è tutto e l’essere umano nulla, così per la moderna teologia politica lo Stato è tutto e l’individuo è nulla. E come dietro la “volontà divina” giace sempre nascosta la volontà di una minoranza privilegiata, così, al giorno d’oggi, dietro la “volontà dello Stato” vi è solo l’interesse egoistico di coloro che si sentono chiamati a interpretare questa volontà a modo loro e imporla con la forza a tutte le persone.

[…]

Nella moderna concezione anarchica abbiamo la confluenza di due grandi correnti che durante e a partire dalla Rivoluzione Francese hanno trovato una loro precisa espressione nella vita intellettuale dell’Europa: il Socialismo e il Liberalismo. Il Socialismo moderno si è sviluppato quando osservatori attenti della vita sociale arrivarono a vedere sempre più chiaramente che le costituzioni politiche e i cambiamenti nelle forme di governo non avrebbero mai risolto il grande problema definito con l’espressione “la questione sociale”.  I sostenitori del socialismo riconobbero che una vera equità sociale tra gli esseri umani, nonostante le migliori formulazioni teoretiche, non è possibile fino a quando le persone sono separate in classi sulla base del loro disporre, o no, di una proprietà; classi la cui semplice esistenza esclude a priori qualsiasi possibilità di formare una genuina comunità. E allora si sviluppò l’idea che solo con l’eliminazione dei monopoli economici e con la proprietà in comune dei mezzi di produzione, in una parola, solo attraverso una trasformazione completa di tutte le condizioni economiche e delle istituzioni sociali ad esse legate, si può pensare di introdurre una realtà di giustizia sociale, in cui la società diventerà una vera comunità e il lavoro degli individui non sarà più impiegato a fini di sfruttamento ma servirà per assicurare a tutti una abbondanza di beni. Ma non appena il Socialismo iniziò a riunire le sue forze e divenne un movimento, subito emersero alcune differenze di opinione dovute all’influenza dell’ambiente sociale nei diversi paesi. È un dato di fatto che tutti i concetti politici, dalla teocrazia al cesarismo e alla dittatura, hanno influenzato alcune sezioni del movimento socialista. Al tempo stesso, ci sono state due grandi correnti di pensiero politico che hanno avuto un ruolo importante nello sviluppo delle idee socialiste: il Liberalismo, che ha stimolato potentemente le persone culturalmente evolute nei paesi anglosassoni e, in particolare, in Spagna, e la Democrazia, nel senso attribuitogli da Rousseau nel suo Contratto Sociale e che ha trovato i suoi più influenti rappresentanti nei Giacobini francesi. Mentre il Liberalismo ha preso avvio, nel suo teorizzare sociale, dall’individuo e voleva limitare ad un minimo la sfera di intervento dello Stato, la Democrazia ha preso le mosse da un concetto collettivo astratto, la “volontà generale” di Rousseau, e ha cercato di cristallizzarlo nello Stato Nazionale.
Il Liberalismo e la Democrazia erano concetti preminentemente politici; la stragrande maggioranza degli aderenti originari a queste due concezioni voleva preservare il diritto di proprietà nel suo vecchio senso, ma dovette poi rinunciarvi quando lo sviluppo economico prese una direzione che non si poteva riconciliare, nei fatti, con i principi della Democrazia e tanto meno con quelli del Liberalismo. La Democrazia con il suo motto “tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge”, e il Liberalismo con il suo “diritto dell’essere umano sulla sua persona”, sono stati entrambi sconquassati dalle realtà della forma economica capitalista. Fino a quando milioni di persone, in ogni paese, si trovavano costrette a vendere le loro energie lavorative ad una piccola minoranza di proprietari, sprofondando in tal modo nella più squallida miseria qualora non trovassero alcun compratore del loro lavoro, la cosiddetta “uguaglianza di fronte alla legge” è rimasta e rimane un pio inganno, dal momento che le leggi sono fatte da coloro che posseggono la ricchezza sociale. E allo stesso modo, non si può parlare di un “diritto sulla propria persona” dal momento che quel diritto finisce quando si è costretti a sottomettersi, se non si vuole morire di fame, alle condizioni economiche dettate da un altro.
L’Anarchia ha in comune con il Liberalismo l’idea che la felicità e la prosperità dell’individuo devono essere la misura di tutte le questioni sociali. E ha in comune con i grandi rappresentanti del pensiero liberale l’idea di limitare le funzioni governative ad un minimo. I sostenitori dell’Anarchia hanno portato questa idea alle sue ultime logiche conseguenze, e vorrebbero eliminare dalla vita sociale qualsiasi istituzione che esercita un potere politico. Quando Jefferson esprime i concetti base del Liberalismo con l’espressione che “il governo migliore è quello che governa di meno”, allora gli anarchici affermano con Thoreau che “il governo migliore è quello che non governa affatto”.
In comune con i fondatori del socialismo, gli anarchici chiedono la fine di tutti i monopoli economici e sono per la proprietà comune del suolo e di tutti gli altri strumenti di produzione, il cui utilizzo deve essere disponibile per tutti senza alcuna distinzione; e questo perché la libertà personale e sociale è concepibile solo sulla base di situazioni economiche ugualmente vantaggiose per tutti. All’interno dello stesso movimento socialista, gli anarchici rappresentano il punto di vista secondo il quale la lotta contro il capitalismo deve essere, al tempo stesso, una lotta contro tutte le istituzioni che hanno un potere politico, dal momento che, nella storia, lo sfruttamento economico è sempre andato a braccetto con l’oppressione politica e sociale. Lo sfruttamento dell’individuo da parte di un altro individuo e il dominio di una persona da parte di un’altra persona, sono fenomeni inseparabili, e l’uno è la condizione dell’altro.

Fino a quando nella società proprietari e non-proprietari si fronteggeranno l’uno contro l’altro come nemici, lo Stato sarà indispensabile alla minoranza proprietaria per la protezione dei suoi privilegi. Quando questa situazione di ingiustizia sociale svanirà per fare posto ad un più elevato ordine di cose, in cui non ci saranno persone con diritti speciali e si riconoscerà l’esistenza di una comunità con i suoi interessi sociali, il governo come dominio sulle persone cederà il passo alla amministrazione delle questioni economiche e sociali, o, per dirla con le parole di Saint-Simon: “Tempo verrà quando la pratica di governare le persone scomparirà. Una nuova pratica prenderà il suo posto, quella di amministrare le cose.” [1]
E questo fa piazza pulita della teoria, sostenuta da Marx e dai suoi sostenitori, che lo Stato, sotto forma di dittatura del proletariato, è necessario per la fase di transizione ad una società senza classi quando, dopo la fine di tutti i conflitti di classe e quindi delle classi stesse, esso si dissolverà e svanirà dalla scena. Questo concetto, che fraintende del tutto la vera natura dello Stato e il significato nella storia del ruolo del potere politico, è solo il risultato logico del cosiddetto materialismo economico che vede, in tutti i fenomeni della storia, solo gli effetti inevitabili del modo di produzione in vigore. Sotto l’influsso di questa teoria, le persone sono arrivate a pensare che le differenti forme di Stato e tutte le altre istituzioni sociali altro non erano che “sovrastrutture giuridiche e politiche” poste sopra “l’edificio economico” della società, e hanno creduto di aver trovato in quella teoria la chiave di ogni processo storico. In realtà, ogni fase storica ci mostra migliaia di casi in cui lo sviluppo economico di un paese è stato ritardato di secoli e costretto a svolgersi in determinate forme a causa di lotte particolari per il potere politico.

[…]

L’anarchia non è la soluzione esclusiva per tutti i problemi umani, non è l’Utopia di un ordine sociale perfetto, come è stata spesso travisata. Infatti essa, per principio, rifiuta tutti gli schemi e i concetti assoluti. Non crede in verità assolute o in finalità definitive per lo sviluppo umano, ma in una perfettibilità senza limiti della gestione sociale e delle condizioni di vita, sempre alla ricerca di più elevate forme di espressione. Per questo motivo, nessuno può assegnare alla gestione sociale o alle condizioni di vita né un punto di arrivo né un termine ultimo. Il crimine peggiore di qualsiasi forma di Stato consiste proprio nel fatto di voler forzare la straordinaria diversità delle forme di vita sociale in tipi definiti per poi ridurle ad un solo tipo particolare, il che non consente visioni più ampie e considera come superati esperimenti che, in passato, avevano suscitato un certo entusiasmo. Quanto più forti si sentono i sostenitori dello Stato, tanto più essi riescono a sottomettere al loro servizio ogni sfera della vita sociale, e maggiori sono gli influssi dannosi sull’operare di tutte le energie culturali creative e i guasti arrecati allo sviluppo intellettuale e sociale di una data epoca.
Il cosiddetto Stato Totalitario, che ora pesa come un macigno su interi popoli, e cerca di plasmare ogni espressione della loro vita intellettuale e sociale sul modello di una mortale passività imposto da una provvidenza politica, sopprime con forza spietata e brutale qualsiasi sforzo volto al cambiamento delle condizioni esistenti. Lo stato totalitario è un segno funesto del nostro tempo, e mostra con una spaventosa chiarezza dove ci condurrà questo ritorno alla barbarie dei secoli passati. È il trionfo dell’apparato politico sulla ragione, è la configurazione degli intendimenti, dei sentimenti e dei comportamenti umani secondo le regole stabilite dai burocrati. È, di conseguenza, la fine di ogni cultura.
L’Anarchia attribuisce solo un significato relativo, e non assoluto, alle idee, alle istituzioni e alle forme sociali. Non è quindi un sistema sociale fisso, chiuso in sé stesso, ma piuttosto una tendenza precisa nello sviluppo storico dell’umanità che, in contrasto con il controllo intellettuale esercitato da tutte le istituzioni clericali e governative, si impegna nel dispiegamento, libero da ostacoli, di tutte le energie vitali, individuali e sociali. Anche la libertà è un concetto relativo e non assoluto, dal momento che tende a diventare sempre più ampia e ad estendersi a cerchie più vaste di individui in molti e svariati modi. Per gli anarchici la libertà non è un concetto filosofico astratto, ma la possibilità vitale e concreta per ogni essere umano di sviluppare in pieno tutte le potenzialità, le capacità e i talenti di cui la natura umana lo ha dotato, e volgerli a beneficio di tutti. Tanto meno questo sviluppo naturale dell’essere umano è influenzato da controlli clericali o politici, tanto più efficiente e armoniosa diventerà la personalità degli individui e tanto più essa sarà lo specchio della società in cui è cresciuta.
Questo è il motivo per cui tutte le fasi di grande fervore culturale sono state anche, storicamente, periodi di debolezza della politica. E questo è abbastanza naturale, in quanto i sistemi politici si preoccupano sempre di ridurre ad ingranaggi le forze sociali e non lasciarle sviluppare in maniera organica. Lo stato e la cultura sono fenomeni profondamente e completamente irreconciliabili e opposti. Nietzsche ha riconosciuto ciò in maniera molto chiara quando ha scritto:

“Nessuno può spendere più di quanto ha. Questo vale sia per gli individui che per i popoli. Se uno spende le sue energie per il potere, per la supremazia politica, per l’amministrazione, per il commercio, per il parlamentarismo, per gli interessi militari - se uno abbandona la ragione, l’onestà, la forza di volontà, la padronanza di sé, aspetti che costituiscono l’essenza dell’essere umano, se uno abbandona tutto ciò per ottenere una sola cosa, non avrà l’una attraverso l’altra.
La cultura e lo stato, - non illudiamoci - sono entità opposte: la 'cultura di stato' è solamente una idea recente. L’una di queste entità vive e prospera a spese dell’altra. Tutte le epoche di splendore culturale sono state epoche di declino politico. Tutto ciò che è grande sotto l’aspetto culturale è non-politico, o addirittura anti-politico.” (Il crepuscolo degli idoli, Capitolo 9: Quel che manca ai tedeschi, 1888).

Un apparato statale potente è l’ostacolo maggiore ad uno sviluppo culturale più elevato. Là dove lo stato decade, dove l’influenza del potere politico sulle forze creative della società è ridotta al minimo, là la cultura prospera al meglio, e questo perché il potere politico cerca sempre di omologare tutto e tutti e di porre ogni aspetto della vita sociale sotto il suo controllo. Così facendo si trova in contraddizione inevitabile con le aspirazioni creative allo sviluppo culturale che sono sempre alla ricerca di nuove forme e campi di attività sociale. La libertà di espressione, le trasformazioni poliedriche e multiformi delle cose, sono realtà vitali e necessarie, così come le forme rigide, le regole obsolete e la soppressione forzata di ogni manifestazione della vita sociale ne sono l'esatto contrario.
Ogni cultura, se il suo sviluppo naturale non è bloccato oltremodo da vincoli politici, va incontro ad un rinnovamento continuo degli stimoli formativi, e da tutto ciò ne risulta una sempre crescente varietà dell’attività creativa. Ogni opera che ha successo suscita il desiderio di una maggiore perfezione e di una più profonda ispirazione; ogni nuova forma diventa il segno di nuove possibilità di sviluppo. Ma lo Stato non crea alcuna cultura, come invece affermano taluni senza riflettere; cerca solo di mantenere le cose come stanno, bloccate da idee stereotipate. Per questo ci sono state rivoluzioni nella storia.
Il potere opera solo in senso distruttivo, intento sempre a costringere ogni manifestazione di vita nella camicia di forza delle sue leggi. Le sue forme di espressione intellettuale sono dogmi morti, la sua forma fisica la forza bruta. E l’idiozia dei suoi obiettivi pone il suo stampo anche sui suoi sostenitori rendendoli stupidi e brutali, anche se essi avevano, un tempo, i migliori talenti. Una persona che spende le sue energie nel forzare ogni cosa all’interno di un apparato meccanico diventa, alla fine, essa stessa una macchina e perde qualsiasi sentimento umano.
È dalla comprensione di tutto ciò che la moderna Anarchia è nata e trae la sua forza morale. Solo la libertà può ispirare gli individui a compiere grandi cose e stimolarli a compiere le trasformazioni sociali. La pratica di dominare le persone è qualcosa di profondamente diverso dalla pratica di educarle e ispirarle a plasmare esse stesse la propria vita. Desolanti costrizioni portano solo ad un addestramento desolante, che sopprime sul nascere qualsiasi iniziativa vitale e produce solo sudditi e non esseri umani liberi. La libertà è l’essenza vera della vita, l’energia motrice di ogni sviluppo intellettuale e sociale, la spinta creatrice di ogni nuova prospettiva per il futuro dell’umanità. La liberazione dell’individuo dallo sfruttamento economico e dall’oppressione intellettuale e politica, che trova la sua migliore espressione nella filosofia universale dell’anarchia, costituisce il requisito necessario per l’evoluzione verso una cultura sociale più elevata e verso una nuova umanità.

 


 

Nota

[1] Si veda, a questo riguardo: Claude-Henri de Saint-Simon, L'organisateur, vol. I, 1819.

 


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