Ettore Ovazza

Sionismo bifronte
(estratti)

(1935)

 


 

Nota

Ettore Ovazza, banchiere torinese di religione ebraica, presenta le sue idee sugli ebrei e sul sionismo in una serie di articoli comparsi sulla rivista La nostra Bandiera e raccolti in un libro sotto il titolo Sionismo bifronte. Ne emerge una difesa dell’ebraismo e una condanna, chiara e circonstanziata, del sionismo. La formazione di uno stato ebraico in Palestina è qualificata come “segno d'incomprensione storica e religiosa” per cui la "ricostituzione di una Nazione ebraica in Palestina è un anacronismo storico ed un artificio che deve essere combattuto." In sostanza, una idea e un obiettivo che non hanno nulla a che vedere con gli ebrei, con le loro tradizioni e aspirazioni genuine. Quindi “occorre non cadere nell'errore di voler ricostruire uno Stato che storicamente non ha più̀ ragione di esistere.” Al pari della Chiesa Romana, “l'Ebraismo deve vivere e prosperare ormai spiritualmente, ma temporalmente è per sempre sepolto.”

 


 

L'ebraismo attraversa una grave crisi in vari Paesi d'Europa. Ci siamo trovati di fronte ad avvenimenti dolorosi che hanno profondamente scosso l'anima degli ebrei di tutto il mondo. Ora è nostro intendimento di aprire le pagine di questo foglio a tutti quanti intendano portare un contributo leale e ponderato di pensiero sul problema degli ebrei perseguitati e resi stranieri nel loro paese, e su quanti possano portare un serio elemento di studio su tutto quanto si riferisce alla conoscenza della nostra religione.

Ed ora dobbiamo esprimere chiaramente il nostro pensiero sulla più importante e più dibattuta questione: quella del sionismo.

Esiste un impegno internazionale al quale ha aderito anche il nostro Paese, per dare un «focolare nazionale» ai nostri correligionari che siano costretti per l'iniquità delle nazioni di cui sono cittadini a cercare un asilo. A quest'opera di assistenza e di solidarietà, tutta l'Italia si è associata e in particolar modo gli ebrei italiani.

Ma questo sionismo originario si è man mano snaturato per via fino a dar vita ad un progetto di nazione ebraica che dovrebbe costituirsi in Palestina acquistando terreni e fondando villaggi e città. Il fatto che coi denari di tutto il mondo e in gran parte col denaro inglese e americano si sia riusciti a creare qualche importante centro abitato da rifugiati, mentre costituisce una magnifica prova di solidarietà, agli effetti politici in quanto al concetto di nazionalità, non significa assolutamente nulla.

La ricostituzione di una Nazione ebraica in Palestina è un anacronismo storico ed un artificio che deve essere combattuto. Nel 1492 gli ebrei espulsi in massa dalla Spagna si sparsero in tutte le regioni d'Europa e nell'Africa del Nord. Le navi di Genova e di Venezia affluirono allora ai porti spagnoli per condurre gli esiliati in Italia. Da allora essi sono cittadini fedeli dei paesi dove hanno trovato rifugio e Patria.

Per noi italiani il problema riveste poi uno speciale carattere in quanto chè in nessuna nazione d'Europa gli israeliti hanno una patria eguale per tutti i suoi figli come in Italia. Non è ammissibile che nel nostro paese vi siano dei cittadini che possano pensare con nostalgia ad una terra che non sia suolo italiano.

Il sionismo è stato un magnifico mezzo per valorizzare un territorio coloniale coi denari degli ebrei del mondo intero. Noi aiutiamo e aiuteremo queste popolazioni che sorgono a nuova vita, ma mentre affermiamo l'impossibilità assoluta della creazione e della vitalità di una Nazione ebraica come stato indipendente, riconosciamo l'urgenza e la necessità di riesaminare in sede internazionale tutto il problema, per una soluzione che risponda ai principii di giustizia e di umanità della civiltà moderna

Il miglior alleato della politica razzista è oggi, suo malgrado, il sionismo nazionalista. È nostra ferma convinzione che mai la politica antisemita sarebbe giunta agli estremi che ha toccato, se non avesse avuto fra i suoi principali argomenti probatori, il così detto focolare nazionale ebraico. Lo stesso ideale ebraico, dal punto di vista puramente religioso, predica il ritorno a Sion come un ritorno spirituale; ma poiché la nostra dottrina nega il proselitismo, le minoranze ebraiche nel mondo rimangono le legittime depositarie dell'idea monoteistica e della legge mosaica che sta alla base della Bibbia e della moderna civiltà̀.

Nel 1934, voler interpretare il ritorno a Sion in senso strettamente territoriale è segno d'incomprensione storica e religiosa.

Noi, per funzione religiosa storica e civile, siamo e dobbiamo essere interamente cittadini delle nazioni dove viviamo da secoli e di cui formiamo parte indissolubile ed integrante. Nulla la religione ha da soffrire per questa assoluta e piena adesione alla Patria. Chi sente la nostalgia di separazioni medioevali, chi vuole differenziarsi, o vuol fare dei seguaci di una religione, una razza eletta o consacrata, ma destinata sempre a vivere rinchiusa nel suo miraggio o nel suo orgoglio messianico, chi non comprende che il genio d'Israele è fraternità fra tutte le genti in regime di giustizia per tutte le genti, chi non sente l'amore sacro e doveroso per la Patria dove è nato e cresciuto, ebbene chi non sente tutti questi sentimenti deve straniarsi dal proprio Paese.

Noi respingiamo nettamente i sionisti nazionalisti che vivono rispettati in parità di diritti civili e politici con tutti gli altri cittadini nelle nazioni d'Europa, e che sospirano invece verso al Palestina; che con un occhio guardano a Roma e con l'altro a Gerusalemme.

L'antisemitismo, ove esista, non è un argomento sufficiente a convalidare la necessità di una nazione ebraica. La storia d'Israele non si è svolta soltanto nella Palestina. Prima dell'ultima distruzione del Tempio, profonde scissioni esistevano in seno all'ebraismo e nuclei ebraici si erano sparsi nei territori dell'Oriente e su tutte le rive del Mediterraneo. Fin dall'epoca della repubblica migliaia di ebrei vivevano rispettati in Roma. La colonia palestinese, progetto che balenò nella mente di uomini del nostro tempo e che trovò parziale realizzazione nell'opera del dott. Weizmann e nel patrocinio di Lord Balfour, costituisce oggi una realtà che deve essere rigorosamente contenuta nelle sue possibilità immediate e future e nel suo vero significato morale. Una parte della Palestina è oggi abitata e valorizzata da profughi che hanno trovato colà un asilo. Di fronte a questa realtà̀ che ha lenito tante miserie e tanti dolori noi ci inchiniamo.
 
L'Italia contribuisce con la sua attività economica e culturale agli scambi con l'Oriente ed a quelli con al Palestina. Ma non possiamo nè come Italiani e neppure come ebrei andare più in là. Ripetiamo ancora una volta: per noi la Palestina è una terra sotto mandato inglese dove è riuscito egregiamente un programma di colonizzazione ebraica: sull'avvenire di tale colonizzazione, sugli antagonismi profondi che dividono le popolazioni arabe ed ebraiche, sui gravi problemi territoriali, spirituali e politici di quella terra, soltanto la storia potrà dire l'ultima parola. Noi ci proponiamo di seguire con attenzione gli avvenimenti.

(La nostra Bandiera, 1 Maggio 1934)

 


 

Varie sono le opinioni circa il modo di risolvere la questione ebraica. Molti ritengono che l'equiparazione giuridico-sociale e la completa eguaglianza di trattamento da parte degli Stati per tutti i cittadini — e anche per gli ebrei — viventi nell'Europa orientale e media — risolverebbe la questione, soddisfacendo le aspirazioni ebraiche.

Altri pensano che soltanto accogliendo nella terra di Palestina le masse ebraiche oppresse e perseguitate si potrà̀ porre termine all'angosciante problema. I primi affermano che è destino ineluttabile d'Israele di disperdersi indefinitamente nel mondo — come un polline fecondatore — per poter compiere la missione affidatagli da Dio di « popolo eletto » cioè di popolo che sia d'esempio agli altri e migliori l'umanità — preparandola all'avvento del Messia; i secondi temono che dalla convivenza degli ebrei con altre genti risulti un logoramento, un inquinamento dello spirito ebraico che minacci perfino la sopravvenienza d'Israele.

Queste diverse correnti di idee si sono spesso aspramente combattute e hanno entrambe buone ragioni da far valere. Oggi si è affermata la corrente sionista che intende dare alla questione ebraica una soluzione territoriale e domanda per Israele la terra dei suoi padri e dei suoi profeti vagheggiando una ricostruzione che non solo è — nel nostro pensiero — inattuabile, ma anche dannosa alla causa ebraica e contraria allo spirito della nostra religione.

[…]

… agli israeliti perseguitati in paesi inospiti e retrogradi, potrebbe la terra di Palestina offrire un rifugio e una nuova patria amorosa? La speranza di vivere in terra libera ove fremono i grandi ricordi della nostra storia deve far fremere impetuosamente i cuori dei nostri correligionari oppressi in barbare contrade. Ma se in Palestina essi potrebbero trovar pace, tranquillo svolgimento della loro vita sociale — libera estrinsecazione del loro spirito — non troverebbero già la patria nuova, cioè la nazione ebraica. Il voler creare un'artificiale nazione comperando una terra, sia pure la più adatta, la più naturale, e popolandola di ebrei perseguitati, mi sembra un sogno di menti sempliciste.

Ora il Sionismo ha questo difetto insito: che più che a liberare le masse ebraiche oppresse tende con esse a ricostituire la nazione ebraica. Cioè non criterio umanitario o fraterna solidarietà soltanto, spingono i sionisti a sostenere le loro teorie ma invece — e più che altro — l'utopia di creare la patria ebraica, raccogliendo sparsi elementi di Israele in Palestina. Ma una nazione non si può creare artificialmente, ma non si può percorrere a ritroso la storia e voler riprodurre uno stadio di civiltà, ormai da secoli sorpassato.

Rileggiamo la storia ebraica: Israele è costretto a fuggire dal paese che egli stesso ha fatto prospero e grande, e deve guadagnarsi la Terra Promessa mediante lotte infinite con gli elementi ostili, con i popoli più agguerriti. Finchè deve lottare per la sua esistenza, per rivendicare i suoi diritti misconosciuti e violati, Israele è forte, è grande; ma quando trionfa e si adagia sui suoi allori, ben presto nel suo seno sorgono lotte tremende, dovute a sfrenate passioni e ambizioni, a smodate cupidigie. Guerre civili divampano fra gli ebrei per avidità̀ di supremazia e di dominio; le leggi sono falsamente interpretate; si trascura l'essenza, lo spirito della Legge, per dare un'esagerata importanza a tutto quanto è puro e ingombrante formalismo.

Invece quando l'ebreo è oppresso e deve aprirsi la strada con le sue sole forze, allora tutte le più belle virtù rifulgono in lui, poiché egli ritorna a Israele.

Sentono proprio gli ebrei questa necessità di avere una patria ebraica, una indipendenza, una nuova storia ebraica? Io affermo con assoluta certezza che dalla stragrande maggioranza degli ebrei questa necessità non è sentita. Dove l'ebreo è libero cittadino, parificato nei diritti civili e politici agli altri cittadini, è legato con vincoli d'amore e di riconoscenza alla terra che lo accoglie; dove è oppresso, egli anela alla libertà, soffre, ma spera e lotta per il suo diritto ala vita, ma non desidera di abbandonare il suolo che fu la patria, sia pure ingrata, dei suoi padri, dove egli stesso è nato e cresciuto.

L'ebreo è molto affezionato alla terra dove nasce e facilmente assimila le migliori qualità del popolo che lo ha accolto, pur conservando le sue caratteristiche più notevoli. Le qualità non buone dell'ebreo, dovute al regime di soggezione a cui è stato per secoli sottoposto, cessano quando l'aura vivificante della libertà ridona a lui la pienezza delle sue forze, la consapevolezza di sè stesso e di quel che valga.

Ma questa libertà non si deve comperare, nè si può creare di botto, ma è destino pur troppo tragico d'Israele di lottare sempre per ottenere li diritto di liberamente vivere e a traverso le sue sofferenze, mantenendosi fedele alle sue leggi, essere d'esempio trascinante ai popoli di diversa fede.

Nei paesi dove gli ebrei sono in stato di inferiorità sociale, angariati da inique leggi, là appunto deve farsi sentire più forte la potenza d'Israele. Poiché non è già con una fittizia, artificiale ricostruzione che l'universalità degli ebrei riacquisterà il grande posto che le spetta per lo splendore del suo genio, ma è riaccostandosi alle nostre antiche leggi con amore e con fede, nel nutrirci di quel grande e immortale spirito che le anima.

Quando noi ebrei avremo finalmente il coraggio di essere noi stessi, quello che siamo, quello che dovremmo essere, allora rifiorirà la nostra grandezza e ci saranno spalancate le porte del cielo. Chi sente la necessità di questa indipendenza, donata come elemosina o acquistata a prezzo? Pensiamo al grandissimo passo che in taluni paesi Israele ha fatto verso la sua totale emancipazione. La sua evoluzione storica segue il suo corso, non uniforme dappertutto causa le diverse condizioni fisiche, etniche, sociali, politiche dei vari paesi. Noi dobbiamo e possiamo rimanere ebrei pur essendo italiani, inglesi o francesi.

Si dice che l'Ebraismo non sia una religione bensì una nazionalità a sè che non potrà mai fondersi con altre. Ma badiamo a non dare ai nostri avversari una grande arma contro di noi. Ho conosciuto degli ebrei tedeschi, inglesi, francesi, levantini, polacchi, rumeni, ma confesso che ben di rado mi sono accorto che essi erano miei consanguinei. Anzi avrei desiderato talvolta che non lo fossero.

I sionisti ritengono che l'inferiorità degli ebrei rispetto agli altri abitanti in alcuni paesi, dovuta all'opposizione a cui sono soggetti, imponga di salvare questi infelici, donando loro una patria ebraica.
Ma noi diciamo loro: «No, cari amici, essi non chiedono la patria ebraica, ma vogliono bensì essere interamente, liberamente ebrei, nel paese che nutre i loro focolari.» Non esistono già in oriente e nell'America del Nord dei veri centri di vita ebraica, dove si parla la lingua ebraica, si stampano giornali, si rinnovella in ogni più moderna forma la vita ebraica?

Occorre non cadere nell'errore di voler ricostruire uno Stato che storicamente non ha più ragione di esistere. La nazione ebraica che ha avuto una splendida civiltà e la sua età d'oro all'epoca di Salomone legislatore, poeta, filosofo (che è uno dei più grandi nomi della storia), ha compiuto il suo ciclo storico. Come la Chiesa Romana, così l'Ebraismo deve vivere e prosperare ormai spiritualmente, ma temporalmente è per sempre sepolto.

La colonizzazione ebraica della Palestina, che presenta gravissimi ostacoli e richiederebbe per la sua effettuazione un lunghissimo periodo di anni, anche riuscendo, non sarebbe in ogni modo che un palliativo, ma non risolverebbe la questione ebraica. Noi riteniamo che sia più forte l'influenza politica che attualmente hanno nei diversi paesi gli ebrei migliori che quella ben tenue che la Palestina ebraica potrebbe svolgere. L'opposizione araba e quella cattolica alla nostra espansione in Palestina che già hanno dato occasione a vari conflitti, sono tali da limitare fortemente le nostre possibilità̀ di successo. Là dove diverse razze hanno insieme la loro culla e i ricordi più sacri, è pericoloso voler affermare il dominio di una sola.

Israele deve ritrovare la sua forza, la sua grandezza morale a traverso la sofferenza illuminata dallo splendore del suo genio, proiettato sulle terre ospitali. Pensiamo alla condizione degli ebrei italiani nella prima metà del secolo XIX e alla loro attuale floridezza: forse perché oggi ai dolci raggi di libertà si affievolì nei nostri cuori la fede, noi dovremmo ritornare indietro di molti secoli e rifare a ritroso il nostro cammino? Purché non si getti come un limone spremuto il nostro grande retaggio spirituale, noi possiamo amare la patria, restando fedeli alla nostra tradizione.

(La nostra Bandiera, 17-24 Maggio 1934)

 


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