Roderick T. Long

In difesa dello spazio pubblico

(1996)

 



Nota

L’idea che vi sia una opposizione tra il (singolo) individuo e la società (intesa come comunità di individui) si riflette anche nella convinzione che vi sia un contrasto totale tra proprietà privata e proprietà pubblica. Le ideologie passate e presenti risolvono questo presunto scontro attribuendo tutte le loro preferenze all’una o all’altra di queste due realtà. Nel corso della storia ciò ha significato che tutto il potere e tutte le proprietà sono state attribuite a qualche padrone « capitalista » o a qualche stato « socialista ».
Roderick Long presenta uno scenario differente e avanza una proposta differente, che vale la pena di prendere in esame e forse anche adottare.

 


 

Nulla da guadagnare tranne le nostre catene?
Proprietà pubblica in assenza di governo
La tesi economica
La tesi etica
Pubblico e Privato: alleati, non avversari

References

 


 

Nulla da guadagnare tranne le nostre catene? (^)

In una importante serie di articoli [1, 2, 3, 4], Richard Hammer ci ha invitati di recente a ripensare ad alcuni assunti riguardo a come sarebbe una società libertaria. Di solito ci immaginiamo una società libertaria come una che offre il massimo di libertà e il massimo di privacy: una società dove puoi fare tutto quello che ti pare (a patto che si tratti di comportamenti pacifici) e dove nessuno ha il diritto di interferire con i tuoi affari privati.

Richard Hammer propone un’altra immagine. Una società libertaria, sostiene Richard, è quella in cui gli spazi pubblici - sia quelli fisici che quelli decisionali - sono stati privatizzati al massimo. Questo è auspicabile, egli sostiene, perché è più facile controllare un comportamento irresponsabile nell’ambito di spazi privati che non in quelli pubblici. Dal momento che nessuno può essere escluso da uno spazio pubblico, nessuno ha un qualche incentivo a mantenerlo in buono stato, e così si genera la « tragedia degli spazi comuni » ("tragedy of the commons »). All’opposto, in un mondo in cui tutto è proprietà privata, noi tutti dobbiamo rispettare le regole formulate dai proprietari. Rich immagina una società in cui a nessuno è permesso di interagire con altri a meno che non si sottometta a tutta una serie di restrizioni [imposte dal proprietario privato di un dato spazio o di un dato commercio]: pagamento di una cauzione, divieto di portare armi in taluni luoghi privati, divulgazione dei propri dati finanziari ad un privato con cui si è in rapporti di affari, e via discorrendo. Coloro che non si attengono a queste regole possono trovarsi ostracizzati, addirittura tagliati fuori dall’accesso al cibo, all’acqua, ai mezzi di comunicazione e di trasporto, persino all’uso di un gabinetto [sulla base di decisioni di proprietari privati].

Le tesi di Rich sono un utile correttivo alla nozione popolare che una società libertaria sarebbe una caratterizzata da un caos totale. Al tempo stesso potremmo avvertire un certo disagio per il fatto che la visione di Rich va verso un estremo opposto. In un famoso passaggio, l’anarchico Proudhon affermava nel diciannovesimo secolo:


« Essere GOVERNATI consiste nell'essere guardati a vista, ispezionati, spiati, diretti, legiferati, regolamentati, rinchiusi, indottrinati, manipolati, controllati, misurati, valutati, censurati, comandati,… notati, registrati, recensiti, tassati, timbrati, squadrati, numerati, spremuti, patentati, licenziati, autorizzati, avvertiti, ammoniti, impediti, riformati, raddrizzati, castigati. » [5]

Ma se essere liberi consiste ugualmente nell’essere ispezionati, autorizzati, contati, timbrati, patentati, e via di seguito, ci si potrebbe chiedere se valga la pena costruire una Nazione Libera.

Ad ogni modo, questo mondo di una anarchia iper-regolata, è davvero il solo modello possibile per una società libertaria? Io non lo penso affatto. Ma per rendersi conto del perché non lo è dobbiamo ripensare le nostre convinzioni riguardanti il fatto che una società libertaria è una società priva di spazi pubblici.

 

Proprietà pubblica in assenza di governo (^)

Quando noi pensiamo alla proprietà pubblica, pensiamo alla proprietà governativa. Ma non è sempre stato così. Nel corso della storia, la dottrina giuridica ha riconosciuto, accanto alla proprietà sotto il controllo di una entità pubblica organizzata (e cioè l’insieme delle persone organizzate come stato e rappresentate da ufficiali pubblici), una categoria ulteriore di proprietà posseduta da gruppi non organizzati di persone.
Si trattava di una proprietà a cui le persone (il pubblico) in genere aveva accesso, senza che il governo avesse alcuna voce in capitolo. Ho appreso molto riguardo a questa idea da due articoli recenti di Carol Rose e David Schmidtz:

« Implicita in queste dottrine del passato è la nozione che, anche se la proprietà deve essere aperta al pubblico, non ne consegue che essa debba essere assegnata e gestita da un ufficiale statale. … la common law del diciannovesimo secolo … dava pieno riconoscimento a proprietà ‘possedute’ collettivamente e ‘gestite’ dalla società nel suo insieme… » [6]

« La proprietà pubblica non è sempre il prodotto di governi espropriatori o di ideologi impazziti. Talvolta emerge spontaneamente come un modo di risolvere problemi reali. » [7]

Non ho interesse a difendere la proprietà pubblica intesa come proprietà che appartiene a un pubblico organizzato (sotto forma di stato). In effetti, non penso affatto che la proprietà governativa sia proprietà pubblica. In realtà è la proprietà privata di una entità che si fa chiamare governo. (Questa entità può far credere di detenere la proprietà come fiduciara del pubblico, ma il suo comportamento nega questa pretesa).
L’idea che voglio sostenere è quella di diritti di proprietà che appartengono ad un insieme di persone (pubblico) non istituzionalmente organizzate.

 

La tesi economica (^)

Dai tempi di Aristotile, la tesi tradizionale contro la proprietà collettiva di qualsiasi genere è stata la cosiddetta tragedia degli spazi comuni (the tragedy of the commons): ogni uso aggiuntivo esaurisce o degrada una risorsa, ma nonostante ciò non vi è modo di restringere l’accesso a tale risorsa; per cui nessuno sarà motivato a utilizzarla in maniera moderata dal momento che il comportamento economo dell’uno può consentire il comportamento sprecone dell’altro. Quindi una persona non si trova in una condizione migliore per essersi astenuta dallo sfruttare a fondo una risorsa. Da qui ne consegue la tesi di restringere l’accesso privatizzando le terre comuni. Quello che Rose e Schmidtz mettono in luce è il fatto che questa tesi è valida solo se usi aggiuntivi diminuiscono il valore della risorsa. Ma non è sempre così. Talvolta, l’aggiunta di nuovi utilizzatori accresce il valore della risorsa: più utilizzatori ci sono, più la situazione è migliore per tutti.In questo caso, non ha senso restringere l’accesso. Allora abbiamo quella che Rose definisce la commedia degli spazi comuni. Commedia in quanto abbiamo un finale lieto piuttosto che tragico.

La posizione di Rose è chiara se solo consideriamo lo spazio decisionale. Pensiamo al movimento libertario come uno spazio decisionale da riempire: quali libri e articoli di stampo libertario saranno scritti, quali progetti e cause libertarie saranno promosse, e come, e via discorrendo. Il movimento libertario è uno spazio pubblico. Chiunque può partecipare, in ogni momento. Sarebbe stupido restringere l’accesso, rendendo più difficile la partecipazione al movimento, e questo perché il movimento non è una risorsa scarsa che può esaurirsi. Al contrario, quante più persone vi partecipano, tsnto più ci si avvicina a realizzare le finalità del movimento nel suo insieme.
(Per un esempio contrario si veda come Ayn Rand e Leonard Peikoff hanno indebolito l’efficacia del loro movimento Oggettivista facendoe una loro riserva privata, allontanando persone che avrebbero pouto dare un valido contributo solo perché non si assoggettavano al potere esercitato dai « proprietari » del movimento).

La proprietà intellettuale presenta, a mio avviso, un’altra commedia degli spazi comuni dal momento che l’utilizzo che una persona fa di una idea non diminuisce né esaurisce l’uso che ne possono fare altri. Anzi addirittura accresce il valore d’uso. E difatti, la civiltà progredisce perché alcune persone afferrano idee prodotte da altre persone, le migliorano e le mettono a disposizione per il bene di tutta la società.

Ma il caso più evidente di commedia degli spazi comuni, come messo in evidenza da Rose e Schmidtz, è il mercato. Maggiore è il numero dei partecipanti al mercato, maggiore è il beneficio che tutti ne ricavano. Il mercato è un paradigma di spazio pubblico. Le leggi protezioniste cercano di ridurre il mercato, o parti di esso, a proprietà privata, imponendo barriere al suo accesso. Ma questa sorta di « privatizzazione » distrugge e sconfessa gli ideali libertari.

Certo, questi sono casi scontati di commedie degli spazi comuni, perché risorse come i mercati, le idee e i movimenti non sono cose fisiche e quindi non sono soggette a scarsità. Lo spazio fisico, invece, è sempre soggetto a scarsità. Allora, come possono esserci commedie degli spazi comuni in quel caso? Ogni risorsa scarsa non deve per forza soccombere alla tragedia degli spazi comuni a meno che l’accesso a tale risorsa non venga limitato?

Non necessariamente. Vi sono casi in cui, almeno all’interno di certi parametri, il valore di una risorsa fisica è migliorato da un maggiore uso. Come evidenziato da Rose and Schmidtz, questo è vero, in particolare, quando la risorsa è connessa, in qualche modo, alla risorsa non fisica della commedia degli spazi comuni, come una fiera o un festival. Dal momento che il « più è meglio » (riferito ai frequentatori) si applica a queste risorse non-fisiche, lo stesso vale, fino a un certo punto, per lo spazio fisico su cui si tiene la fiera o il festival, e le strade che portano a tali spazi. Dal momento che ognuno trae un beneficio dal fatto che un numero maggiore di persone affluisce alla fiera, così ognuno è premiato dal fatto che l’accesso allo spazio in cui si tiene la fiera è anch’esso libero.

Certamente ci sono limiti. Se ci sono troppe persone, ci sarà una folla eccessiva tale da rendere la fiera non più godibile. Ma questo esempio mostra soltanto il fatto che esistono sia la-tragedia-degli-spazi-comuni che la la-commedia-degli-spazi-comuni, e quale di esse prevarrà dipende dalle circostanze. La proprietà pubblica può essere la soluzione efficace in taluni casi, e la proprietà privato lo può essere in altri. (O un insieme di diritti di proprietà può scindersi tra pubblici e privati). Molte società hanno avuto spazi comuni, regolati da usi e costumi, senza che si generassero problemi di sfruttamento eccessivo della risorsa.

 

La tesi etica (^)

Sulla base della visione libertaria, noi abbiamo il diritto a godere dei frutti del nostro lavoro, e a tutto quello che proviene dalla generosità di altri. La proprietà pubblica può sorgere attraverso questi due modi.

Immaginiamo un villaggio vicino a un lago. È abitudine degli abitanti del villaggio recarsi a piedi al lago per pescare. Nei primi tempi della comunità era difficoltoso raggiungere il lago a causa della sterpaglia e dei rami caduti che ostruivano il passaggio. Ma, col passare del tempo, si forma un sentiero eliminando gli arbusti e liberando il passaggio. Questo avviene non attraverso uno sforzo coordinato dal centro, ma semplicemente come risultato dell’azione degli individui che fanno quel percorso giorno dopo giorno.

Il sentiero che si forma è il prodotto del lavoro - non di un individuo specifico, ma di tanti individui assieme. Se un abitante del villaggio decidesse di approfittare del sentiero che si è venuto formando installando un cancello e pretendendo un pagamento per permettere il passaggio, egli violerebbe la proprietà collettiva che gli abitanti del villaggio si sono guadagnati.

La proprietà pubblica può essere anche il prodotto di un dono. Nell’Inghilterra del diciannovesimo secolo era pratica comune che le strade fossero costruite da privati e poi donate al pubblico perché se ne servisse liberamente. Questo avveniva non per altruismo ma per il fatto che colui che costruiva la strada possedeva il terreno e svolgeva le sue attività economiche là dove era sorta la nuova strada e sapeva che, con la costruzione della strada, il valore dei terreni si sarebbe accresciuto e avrebbe attratto un numero maggiore di clienti a profitto delle sue attività economiche. Quindi, il pubblico non-organizzato può legittimamente essere proprietario di terreni sia attraverso un acquisto originario (lo sforzo lavorativo) che attraverso un trasferimento volontario.

 

Pubblico e Privato: alleati, non avversari (^)

Lo spazio pubblico ha sia dei vantaggi che degli svantaggi. Sul lato positivo, l’accesso senza vincoli significa che una persona può fare tutto quello che le piace, senza chiedere permessi, a patto che non violi i diritti di un’altra persona. Sul lato negativo, la difficoltà di controllare gli spazi pubblici significa che ci potrebbero essere comportamenti irresponsabili più che altrove. Una società che permette l’esistenza di spazi pubblici e privati - che ha, ad esempio, strade pubbliche e private in competizione tra di loro - consente agli individui di decidere essi stessi cos’è meglio per loro. Se vuoi la libertà di guidare la tua moto a petto nudo e con un fucile a tracolla e sei disposto ad accettare il rischio di un comportamento irresponsabile da parte di altri, allora prendi la strada pubblica. Se preferisci una maggiore sicurezza e sei disposto ad obbedire a un numero maggiore di regole imposte dal proprietario della strada e ad accettare di comunicare i tuoi dati anagrafici , allora prendi la strada privata. Lo spazio privato può diventare oppressivo se non c’è uno spazio pubblico in competizione con esso - e viceversa.

Io contemplo un mondo composto da molti spazi privati individuali, collegati da un insieme generale di spazi pubblici. L’esistenza di questo insieme pubblico può addirittura essere un pre-requisito per godere di un controllo completo del proprio spazio privato. Immagina che qualcuno invada il mio spazio e io voglio farlo uscire dalla mia proprietà. Se tutti i terreni circostanti sono privati, dove lo posso mandare via senza violare i diritti di proprietà dei miei vicini? Ma se c’è un passaggio pubblico nelle vicinanze, ho un luogo dove accompagnare l’intruso. Quindi, la disponibilità di spazi pubblici può essere una pre-condizione morale per godere della libertà dagli sconfinamenti.

 


Riferimenti (^)

[1] Richard Hammer, The Power of Ostracism, in Formulations, Vol. II, No. 2 (Winter 1994-95).

[2] Richard Hammer, Protection from Mass Murderers, in Formulations, Vol. II, No. 3 (Spring 1995).

[3] Richard Hammer, 'Liberty' is a Bad Name, in Formulations, Vol. II, No. 4 (Summer 1995).

[4] Richard Hammer, Toward Voluntary Courts and Enforcement, in Formulations, Vol. III, No. 2 (Winter 1995-96).

[5] Pierre-Joseph Proudhon, General Idea of the Revolution in the Nineteenth Century, 1851; trans. John B. Robinson (London: Pluto Press, 1989), p. 294. (This quotation is the inspiration for the heading "To be governed ..." on Cato Policy Report's back-page horror file.)

[6] Carol Rose, The Comedy of the Commons: Custom, Commerce, and Inherently Public Property, p. 720; in University of Chicago Law Review, Vol. 53, No. 3 (Summer 1986), pp. 711-781.

[7] David Schmidtz, The Institution of Property, p. 51; in Social Philosophy & Policy, Vol. 11 (1994), pp. 42-62.

 


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