Karl Marx

La concorrenza tra i capitalisti

(1844)

 



Nota

Questo è un estratto da i Manoscritti Economico-filosofici del 1844. Marx presenta alcune idee che saranno sviluppate in una fase successiva del suo pensiero. Per Marx "la concorrenza è la sola difesa contro i capitalisti, difesa che a detta dell'economia politica agisce beneficamente a favore del pubblico consumatore tanto sull'aumento dei salari quanto sul ribasso del prezzo delle merci." Al tempo stesso, per Marx, la concorrenza conduce inevitabilmente al monopolio in quanto i più scaltri e decisi prevarranno sui meno abili.

Per Marx la concorrenza presenta questo doppio aspetto che non è stato molto ben compreso dai suoi critici che gli hanno rimproverato di essere un avversario della concorrenza. Una critica più precisa e più appropriata è che la concorrenza non porta necessariamente al monopolio (a meno che lo stato non intervenga concedendo protezioni e diritti di esclusiva) e che la vera concorrenza non è un aspetto intrinseco al capitalismo in quanto è stata ben presto rimpiazzata da altre pratiche. Quindi né concorrenza né monopoli ma oligopoli e una relazione privilegiata con lo stato. Il capitalismo diventa allora corporativismo e il socialismo statismo. E questo ha rappresentato la fine di entrambe come concezioni e pratiche rivoluzionarie.

 


 

Il dominio del capitale sul lavoro e i motivi del capitalista

L'unico motivo che determina il detentore di un capitale ad impiegarlo nell'agricoltura o nell'industria o in un determinato ramo del commercio all'ingrosso o al minuto, è il punto di vista del proprio profitto. Non gli viene mai in mente di calcolare quale quantità di lavoro produttivo potrà essere posto in opera da ciascuno di questi diversi tipi d'impiego e quale aumento di valore potrà subire la produzione annuale della terra e il lavoro del suo paese (Adam Smith, La Ricchezza delle Nazioni, t. II, pp. 400, 401). Per il capitalista l'impiego più utile del capitale è quello che, in condizioni di uguale sicurezza, gli rende il profitto maggiore. Questo impiego non è sempre il più utile per la società; il più proficuo è quello che utilizza meglio le forze produttive della natura (Jean-Baptiste Say, Traité d'économie politique, t. II, p.131).

Le più importanti operazioni del lavoro sono regolate e guidate secondo le direttive e le speculazioni di coloro che impiegano i capitali, e lo scopo che costoro si propongono in tutte queste direttive e operazioni, è il profitto. Perciò: il tasso del profitto non cresce, al pari della rendita fondiaria e del salario, col benessere della società, né cala come quelli col suo declino. Al contrario, questo tasso è naturalmente basso nei paesi ricchi e alto nei paesi poveri, e non è mai tanto alto come nei paesi che precipitano con la massima rapidità verso la loro rovina. L'interesse di questa classe non ha quindi nei confronti dell'interesse generale della società lo stesso rapporto che ha l'interesse delle altre due classi. L'interesse particolare di coloro che esercitano un particolar ramo di industria o di commercio è sotto un certo aspetto sempre diverso da quello del pubblico e spesse volte è ad esso ostilmente contrapposto. L'interesse del mercante è sempre quello di allargare il mercato e di restringere la concorrenza dei venditori... È questa una classe di persone il cui interesse non coinciderà mai esattamente con quello della società, perché hanno in generale un interesse a ingannare e imbrogliare il pubblico (Adam Smith, La Ricchezza delle Nazioni, t. II, pp.163-165).


L'accumulazione dei capitali e la concorrenza tra capitalisti

L'accrescimento dei capitali mentre eleva il salario tende a diminuire il profitto del capitalista a causa della concorrenza tra capitalisti (Adam Smith, La Ricchezza delle Nazioni, t. I, p.179).

Se, ad esempio, il capitale necessario ad una drogheria di una città si trova diviso tra due diversi droghieri, la concorrenza farà in modo che ciascuno di essi venderà più a buon mercato di quel che accadrebbe se il capitale si fosse trovato nelle mani di uno solo; e se è diviso tra venti [VI], la concorrenza diventerà di tanto più attiva, e tanto meno sarà data a ciascuno di essi la possibilità di accordarsi con gli altri per aumentare il prezzo delle merci (Adam Smith, La Ricchezza delle Nazioni, t. II, pp.372-373).

Poiché già sappiamo che i prezzi del monopolio sono i più alti possibili, e poiché anche dal comune punto di vista della scienza economica l'interesse del capitalista si contrappone ostilmente a quello della società, e l'aumento del profitto del capitale influisce sul prezzo delle merci nella misura in cui l'interesse composto influisce sull'accumularsi di un debito (Adam Smith, La Ricchezza delle Nazioni, t. I, pp.199-201), la concorrenza è la sola difesa contro i capitalisti, difesa che a detta dell'economia politica agisce beneficamente a favore del pubblico consumatore tanto sull'aumento dei salari quanto sul ribasso del prezzo delle merci.

Ma la concorrenza è possibile soltanto là dove i capitali crescono, e si distribuiscono in molte mani. La formazione di molti capitali è possibile soltanto con un'accumulazione da molte parti, perché il capitale si forma in generale soltanto con l'accumulazione e l'accumulazione da molte parti si trasforma necessariamente in un'accumulazione da una parte sola. La concorrenza tra capitali aumenta l'accumulazione tra capitali. L'accumulazione, che sotto il dominio della proprietà privata è una concentrazione del capitale in poche mani, è, in generale, una conseguenza necessaria, quando i capitali vengono abbandonati al loro corso naturale e quando, con la concorrenza, questa destinazione naturale dei capitale si apre finalmente una via sufficientemente libera.

Abbiamo udito che il profitto del capitale è in proporzione alle dimensioni del capitale stesso. Prescindendo per ora completamente dalla concorrenza intenzionale, un grande capitale si accumula quindi in proporzione alla sua grandezza più rapidamente che uno piccolo.

Prescindendo perciò per ora completamente dalla concorrenza, l'accumulazione del grande capitale è molto più rapida di quella del piccolo. Ma continuiamo a seguirne l'ulteriore svolgimento.
Con l'accrescimento dei capitali diminuiscono, attraverso la concorrenza, i profitti sul capitale. E quindi chi soffre per primo è il piccolo capitalista.

L'aumento dei capitali e il moltiplicarsi dei medesimi presuppone inoltre un paese in fase di ricchezza crescente.

«In un paese, giunto ad un altissimo grado di ricchezza, il tasso abituale del profitto è così piccolo che il tasso d'interesse, che questo profitto permette di pagare, è troppo basso, perché possano vivere dell'interesse del loro denaro altri all'infuori delle persone più ricche del paese. Tutti i possessori di patrimoni medi devono quindi essi stessi impiegare il loro capitale, intraprendere affari, o interessarsi di qualche ramo del commercio» (Adam Smith, La Ricchezza delle Nazioni, t. I, pp.196-197).

Questa situazione è quella preferita dall'economia politica. «La proporzione esistente tra la somma dei capitali e i redditi, determina ovunque la proporzione in cui si troveranno l'industria e l'indolenza; dove i capitali riportano la vittoria sui redditi, domina l'industria; dove dominano i redditi, prevale l'indolenza» (Adam Smith, La Ricchezza delle Nazioni, t. II, p.325).

Ed ora come si comporta chi impiega del capitale quando la concorrenza si è accresciuta? «Con l'aumento dei capitali la quantità dei fondi da prestarsi a interesse» deve diventare successivamente più grande; con l'aumento di questi fondi l'interesse del denaro diminuisce: 1) perché il prezzo di mercato di ogni cosa scende quanto più aumenta la quantità; 2) perché con l'aumento dei capitali in un determinato paese diventa più difficile impiegare un nuovo capitale in modo conveniente. Sorge cosi la concorrenza tra i diversi capitali, poiché il possessore di un capitale fa tutti gli sforzi possibili per impadronirsi dell'affare che si trova coperto da un altro capitale. Ma per lo più non può sperare di cacciar via quest'altro capitale, se non offrendo condizioni migliori. Egli deve non soltanto vendere a più buon mercato, ma spesso, per trovare occasioni di vendere, deve comprare a più caro prezzo. Quanto più i capitali sono destinati a mantenere il lavoro produttivo, tanto maggiore diventa la domanda di lavoro: gli operai trovano facilmente occupazione, ma i capitalisti hanno delle difficoltà a trovare operai. La concorrenza tra capitalisti fa crescere i salari, e fa cadere i profitti» (Adam Smith, La Ricchezza delle Nazioni, t. II, pp.358-359).

Il piccolo capitalista ha quindi la scelta: 1) o di consumare il suo capitale, dal momento che non può più vivere di interessi, e quindi cessa di essere capitalista; oppure 2) intraprendere anch'egli un qualche affare, di vendere le sue merci a più buon mercato e di comprare più caro del capitalista più ricco, di pagare un salario superiore; e quindi, essendo il prezzo del mercato già assai basso a causa dell'intensa concorrenza posta per ipotesi, di rovinarsi. Se, invece, il grande capitalista vuol rimuovere il più piccolo, ha di fronte a sé tutti i vantaggi che il capitalista in quanto tale ha di fronte all'operaio. I profitti minori gli vengono compensati dalla maggior quantità di capitale impiegato, ed egli può sopportare anche perdite momentanee sino a che il capitalista più piccolo sia andato in rovina ed egli si veda liberato dalla sua concorrenza. In tal modo il grande capitalista accumula per sé i profitti del piccolo.

Inoltre: il grande capitalista compra sempre più a buon mercato che il piccolo, perché compra le merci in maggiori quantità. Quindi può vendere a prezzo migliore senza rimetterci.
Ma se la caduta dell'interesse del denaro trasforma i medi capitalisti da «rentiers» in uomini d'affari, l'aumento dei capitali investiti in affari e la conseguente diminuzione dei profitti determina la caduta dell'interesse del denaro.

«Per il fatto che diminuisce il beneficio che si può ricavare dall'investimento di un capitale, diminuisce necessariamente il prezzo che si può pagare per l'investimento dello stesso capitale» (Adam Smith, La Ricchezza delle Nazioni, t. II, p.359).

«Quanto più aumentano la ricchezza, l'industria e la popolazione, tanto più diminuisce l'interesse del denaro, e quindi il profitto del capitalista; ma ciononostante i capitali aumentano e ancor più rapidamente di prima ad onta della diminuzione dei profitti... Un grande capitale, per quanto piccoli siano i suoi profitti, aumenta in generale assai più rapidamente che non un piccolo capitale con grandi profitti. Il denaro crea denaro, dice il proverbio» (Adam Smith, La Ricchezza delle Nazioni, t. I, p.189).

Se dunque ad un grande capitale stanno di fronte ormai capitali minimi con piccoli profitti, come accade nella situazione sopra ipotizzata di intensa concorrenza, questi finiscono per essere completamente schiacciati da quello. In questa situazione di concorrenza poi la conseguenza necessaria è il peggioramento generale delle merci, l'adulterazione, la produzione apparente, e l'avvelenamento d'ogni cosa, come è dato di vedere nelle grandi città.

 


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