Charlotte Wilson

Anarchia

(1884)

 


 

Nota

Una chiarificazione dell'anarchia presentata come una nuova fase di progresso della civiltà e quindi del tutto priva degli aspetti terrificanti di distruzione e di violenza che taluni sostenitori e moltissimi oppositori vorrebbero attribuire, per ignoranza culturale o per interesse politico, alla concezione e alla pratica degli anarchici.

Fonte: Charlotte Wilson, Anarchism, Justice, Volume 1, Numero 43, 8 novembre 1884.

 


 

La parola Anarchia si presta a tali e seri fraintendimenti da essere associata al caos o, peggio ancora, ad atti di violenza e di vendetta individuale. Per questo motivo, in assenza di simpatizzanti dell’idea più competenti di me e attualmente disponibili, vi chiedo di permettermi di chiarire ciò in cui crediamo e di spiegare soprattutto i suoi riflessi sull’attività di ricostruzione sociale.

Anarchia, come ben si sa, significa semplicemente “senza un dominatore” o un “capo supremo”. Anarchico è quindi il nome preso da una certa tendenza di Socialisti che, nelle parole della Dichiarazione degli anarchici al processo di Lyon [1] ritiene che sia arrivato il tempo “di mostrare alle persone che possono benissimo fare a meno del governo” come pure di far vedere a tutti i vantaggi di una proprietà gestita in comune. Gli anarchici ritengono che, giunti allo stadio attuale del progresso, l’unione tra gli individui in società può essere conseguita in maniera stabile solo se si basa su una piena equità economica e su una completa libertà individuale. Essi ritengono inoltre che il marciume e l’ingiustizia della presente organizzazione sociale stia raggiungendo un culmine, che una rivoluzione sia inevitabile, che essa spazzerà via qualsiasi privilegio, monopolio, autorità imposta, assieme alle leggi e alle istituzioni che sostengono tutto ciò, e libererà le energie costruttive sulla base di un nuovo ideale sociale che si sta già sviluppando all’interno delle formule obsolete di una fase della civiltà in via di superamento.

La loro concezione della missione rivoluzionaria come un fatto puramente distruttivo, porta gli Anarchici a porsi la domanda concernente un futuro ignoto, non tanto nella forma: Che schema di organizzazione sociale dobbiamo mettere al posto della situazione presente? quanto: Dopo l’annullamento delle attuali istituzioni oppressive, quali forze e condizioni sociali sopravvivranno e come si trasformeranno e si svilupperanno probabilmente in futuro?

Non è affatto necessario chiedersi, come sono solite fare alcune persone cavillose, che cosa avverrebbe se l’essere umano civilizzato cessasse di essere un animale sociale ed ognuno pensasse solo a sé stesso. Noi non viviamo assieme in società e ci adattiamo e soddisfiamo i reciproci bisogni in modo da rendere possibile una esistenza in comune, solo perché costretti a comportarci così da talune leggi ed istituzioni. Noi siamo portati a vivere assieme dal nostro istinto di socialità, e siamo formati a vivere in una condizione armoniosa, come quella che abbiamo raggiunto attualmente, attraverso l’influenza che esercitiamo l’uno sull’altro con le nostre continue azioni e reazioni e con le abitudini, affinità e convinzioni, trasmesse e acquisite. La Rivoluzione, rompendo le forme stereotipate nelle quali alcuni di questi istinti e credenze sociali si sono cristallizzati non può, in alcun modo, distruggere le tendenze stesse alla socialità.   

Da quando l’Individualismo ha infranto la struttura rigidamente regolata della società medioevale, questi istinti sociali sono stati avvertiti in maniera estremamente potente nella crescita di due forze notevoli e in continuo sviluppo, e cioè la Produzione Socializzata e l’Opinione Pubblica. Entrambe sono il risultato diretto dell’influenza della libertà personale e della forza dell'iniziativa individuale sull’agire sociale. La Rivoluzione, diretta contro le imposture e le ipocrisie, lascerà intatte entrambe queste realtà.

L’attuale sistema di produzione su grande scala, altamente socializzato, con la sua minuziosa divisione e frammentazione del lavoro, i suoi macchinari, le sue masse concentrate di lavoratori manuali, e le sue complesse relazioni industriali, ha insegnato alle persone che esse possono accrescere enormemente il loro controllo sulle forze della natura quando agiscono in maniera cooperativa per produrre i mezzi per vivere. Si tratta già, praticamente, di un sistema attraverso il quale tutti i lavoratori sono al servizio della società nel suo complesso e, in cambio, soddisfano i loro bisogni prendendo quanto serve loro per vivere. Quando il monopolio che un ristretto numero di persone esercita sulla terra e sul capitale e che impedisce ai lavoratori, in primo luogo, di avere il controllo sulle proprie attività, e poi, di soddisfare adeguatamente le proprie esigenze, quando questo monopolio sarà distrutto, lo scopo della ricostruzione sociale consisterà nel permettere di assolvere queste due funzioni nella maniera più agevole e più efficace possibile.

La domanda che ci si pone è la seguente: riusciranno la libera cooperazione e i liberi contratti a far sì che i lavoratori effettuino una produzione adeguata ai bisogni, una volta che essi hanno nelle loro mani gli strumenti della produzione, senza che un qualche Stato o una qualche organizzazione e direzione prenda il posto dei monopolisti, dei padroni e degli attuali organizzatori? Noi crediamo di sì. E questo perché deve avvenire, nella mente delle persone, una trasformazione radicale riguardo alla natura della proprietà e dei doveri degli individui prima che la Rivoluzione abbia successo. La famosa affermazione di Proudhon. “La Proprietà, è il Furto” è la chiave dell’enigma ugualmente famoso proposto ai Socialisti da Saint-Simon quando scrisse la frase: “Da ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni”. Quando i produttori capiranno pienamente che, prendendo possesso delle ferrovie e dei mezzi di navigazione, delle miniere e dei campi, delle fattorie e delle fabbriche, delle materie prime e dei macchinari, e di tutto ciò che è necessario per le attività produttive, essi stanno solo reclamando il diritto di utilizzare liberamente, per il bene di tutti, ciò che è stato prodotto dal lavoro in comune o utilizzato in comune in passato, e che, in cambio della loro attività, essi hanno giustamente il diritto di prendere dall’insieme dei prodotti finiti ciò di cui hanno bisogno, ogni difficoltà sarà superata. E saranno eliminati anche gli ostacoli che esistono riguardo alle necessarie trasformazioni nel funzionamento del sistema produttivo e delle sue relazioni con il consumo, una volta che la creatività di una miriade di persone si applicherà per il loro superamento.

Tutto ciò sarà possibile quando ci si renderà conto che, solo in assenza del monopolio sulla terra e sul capitale, i lavoratori possono essere liberi e che, quando costoro hanno un padrone, essi sono come degli schiavi e nessun miglioramento duraturo ed effettivo può essere apportato alla loro condizione. La fatale bramosia di acquisire proprietà si è impadronita talmente delle menti delle persone, che un bene senza un signore che lo possedesse appare adesso a molti come una anomalia mostruosa, al pari di quanto avveniva davanti ai tribunali della Regina Elisabetta, quando compariva un individuo che non era sotto un padrone. Taluni escogitano allora ogni sorta di schemi sofisticati per porre la proprietà comune della gente in un trust, incaricando alcuni amministratori della sua gestione - una forma ingegnosa di servitori che, con tutta probabilità, potrebbero diventare tiranni peggiori di quelli del passato. Noi anarchici non vogliamo né dominare né servire e preferiamo riporre la nostra fiducia nella ragione dei lavoratori, illuminata dall’amara esperienza di secoli di asservimento.

La concezione anarchica propone quindi:

1. Che l’usufrutto derivante dagli strumenti di produzione, inclusa la terra, sia a libera disposizione di tutti i produttori o gruppi di produttori.
2. Che i produttori si associno e gestiscano le loro attività sulla base dei dettami della ragione e delle loro inclinazioni.
3. Che le necessarie relazioni tra le varie industrie e i rami del commercio siano gestite sulla base del principio di volontarietà.
4. Che i prodotti finiti siano raccolti in depositi e mercati e che si aprano, in località di facile accesso, agenzie che facilitino l’incontro tra produttori e consumatori (ad esempio impresari edili e falegnami posti in contatto con coloro che sono alla ricerca di un alloggio).
5. Che ogni individuo possa soddisfare i suoi bisogni come gli dettano le sue conoscenze.

Questa è la teoria del laissez-faire, modificata ed estesa per venire incontro alle esigenze del futuro ed evitare le ingiustizie del passato. Essa implica che la maggioranza delle persone sono capaci di agire in maniera abbastanza efficace qualora siano lasciate libere, e ritiene che l’individuo sia il migliore giudice delle proprie capacità. Inoltre, assume che l’interesse personale, intelligentemente perseguito, tende a promuovere il benessere economico generale della comunità. Questa concezione differisce dalla vecchia teoria in quanto pone l’interesse personale dalla parte di una giusta diffusione dei beni, attraverso la fine della proprietà privata dei mezzi di produzione nelle mani di un ristretto numero di persone, e quindi riesce a neutralizzare i pericoli che derivano dalla presenza nella società di personalità aventi una fortissima inclinazione a considerare esclusivamente i propri interessi, anche a detrimento degli altri. Permette inoltre il libero gioco di quelle affinità sociali la cui influenza, nel determinare il comportamento delle persone, è stata erroneamente ignorata dagli economisti ortodossi. E ritiene che relazioni economiche, eque e benefiche per tutti, sono nell’interesse dell’individuo e che ognuno è in grado di apprendere ciò, se non attraverso lo studio delle scienze e l’insegnamento morale, certo per via delle dure lezioni dell’esperienza.

Il processo di apprendimento non è forse già iniziato?

 


 

Nota

[1] Dall’8 al 19 Gennaio 1883 si tenne a Lyon (Francia) un processo contro 66 anarchici accusati di appartenere all’Associazione Internazionale dei Lavoratori. Il pomeriggio del 12 Gennaio, Frédéric Tressaud, uno degli accusati, lesse una “Dichiarazione degli anarchici davanti al tribunale correzionale di Lyon” che era stata redatta principalmente da Pëtr Kropotkin, anche lui tra gli imputati.

 

 


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