Nota
Da questa analisi del pensiero federalista di Kropotkin possiamo cogliere il dibattito sul federalismo anarchico e alcuni dei suoi punti essenziali.
Fonte: Articolo comparso a puntate sulla rivista Fede! (Febbraio-Marzo 1925).
Uno dei lati più interessanti del pensiero politico di Pëtr Kropotkin è il federalismo, motivo che ricorre sì frequente nei suoi scritti e costituisce una delle basi della sua ideologia anarchica. Il federalismo kropotkiniano, pur non essendo una teoria sistematica e pur non differenziandosi profondamente dal federalismo del Proudhon e del Bakunin, presenta varie caratteristiche che ne rendono interessante l’esame.
Tale esame richiede un excursus biografico, che ci illumini sulla genesi del pensiero federalista del Nostro, in rapporto all'ambiente in cui questo pensiero si formò ed affermò. A ragione, il Tilgher, scrivendo del Kropotkin, osservava: "Non si comprenderà mai l'intimo spirito del movimento anarchico, se non lo si consideri storicamente come una reazione radicale e violenta alla profonda trasformazione subita nel corso del secolo XIX dall'istituto statale”.
Kropotkin, principe-anarchico, è, infatti, la migliore dimostrazione di questo asserto.
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La limpida e dettagliata autobiografia del Kropotkin ci rende possibile seguire passo passo le singole fasi di formazione del suo pensiero federalista.
A diciannove anni, ufficiale dei cosacchi, si reca nella Transbaikalia, dove si interessa con passione alle grandi riforme, iniziate nel 1862 dal governo ed affidate all'Amministrazione Superiore della Siberia. Segretario di comitati governativi, a contatto con i migliori funzionari, comincia a studiare vari progetti di amministrazione municipale, ma ben presto vede tutti gli sforzi di rinnovamento intralciati dai capi di distretto, protetti dai Governatori generali, subenti, alla lor volta, gli ordini e le influenze del governo centrale. La vita amministrativa gli rivela ogni giorno sistemi e metodi assurdi, sì che, vista l'impossibilità di una qualsiasi riforma, nel 1863 partecipa ad una spedizione lungo l’Amur.
Durante una tempesta, quaranta barconi affondano e vanno perdute duemila tonnellate di farina. Questa catastrofe gli offre l'occasione di conoscere ancor meglio la burocrazia centrale. Le autorità non vogliono credere al disastro e gli stessi impiegati agli affari della Siberia, a Pietrogrado, rivelano una completa ignoranza su tutto ciò che entra nella loro particolare competenza. Un alto funzionario gli dice: "Ma mio caro com'è possibile che quaranta barconi siano distrutti sulla Neva senza che qualcuno si slanci a salvarli!" Rispondendogli il Kropotkin, che l'Amur è quattro volte più largo della Neva, il funzionario, domanda, stupito, "Ma è veramente così grande?", e passa, seccato, a parlare di frivolezze.
Kropotkin parte per la Manciuria più che mai sfiduciato nell'amministrazione centrale. Dovette certamente pensare ai burocrati di Pietrogrado quando, alla frontiera cinese, un funzionario del Celeste Impero respinse il suo passaporto perché costituito da un modesto foglio di carta protocollata, mentre mostrò grande rispetto per un vecchio numero della voluminosa Gazzetta di Mosca che gli fu mostrata come passaporto.
Divenuto attaché al "Governatorato Generale per gli affari dei Cosacchi", il Nostro fa un'accurata inchiesta sulle condizioni economiche dei Cosacchi dell'Usurì. Tornato a Pietrogrado si vede felicitato, promosso, premiato. Ma l'attuazione pratica dei progetti proposti viene a mancare per colpa dei funzionari, che rubano il denaro e continuano a fustigare i contadini, invece di fornire loro il bestiame ed alleviare, con pronti e idonei soccorsi, i danni della carestia. "Questo succedeva", dice il Kropotkin
dappertutto, cominciando dal Palazzo d'Inverno, a Pietrogrado, per finire all'Usurì e al Karnchatka. L'alta amministrazione della Siberia s'informava a buonissime intenzioni ed è mio dovere ripetere che, tutto considerato, era assai migliore, molto più illuminata, s'interessava di più al benessere del popolo che l'amministrava di qualsiasi altra provincia della Russia. Ma era una amministrazione - un ramo dell'albero che aveva le sue radici a Pietrogrado - e ciò bastava per paralizzare tutte le sue eccellenti intenzioni, bastava per far sì che s'interponesse e soffocasse ogni principio di vita e progetto autonomo. Qualunque cosa fosse iniziata dagli abitanti per il bene del paese, destava sospetto ed era immediatamente paralizzata dalle mille difficoltà, che provenivano non tanto dalla mala voglia degli amministratori, quanto dal fatto che quei funzionari appartenevano ad una amministrazione centralizzata e gerarchica. Il semplice fatto che appartenevano ad un governo che irradiava da una lontana capitale faceva sì che consideravano ogni cosa dal punto di vista di impiegati governativi che prima domandavano: cosa diranno i superiori e che effetto avrà questo o quell'altro sul meccanismo amministrativo. Gli interessi del paese prendevano il secondo posto.
Parallelamente alla conoscenza del cattivo funzionamento degli organi amministrativi accentrati, contribuiscono alla formazione della sua personalità anarchica le osservazioni sulla libera intesa fra gli interessati, che egli fa continuamente durante i lunghi viaggi nella Siberia e nella Manciuria.
Gli appare evidente la funzione che le masse anonime esercitano nei grandi avvenimenti storici e, in generale, nello sviluppo della civiltà. Questa valutazione informò poi, come vedremo, tutta la sua critica sociologica e fu a base del suo metodo di ricerca storica.
Venuto in Occidente, nella Svizzera, grande influsso esercitò sulle sue tendenze federaliste e libertarie il contatto con la Federazione del Giura, che nel 1872 aveva assunto un indirizzo spiccatamente autonomista ed antiautoritario. Bisogna notare che al determinarsi di tale indirizzo aveva contribuito molto il dominio fortemente accentrato, si può dire tirannico, del Consiglio generale della Internazionale. [1]
Bisogna aggiungere il fatto che i militanti della federazione del Giura erano imbevuti dell'anarchismo bakuniniano, essenzialmente federalista. Il Kropotkin non fu mai a contatto diretto col Bakunin, come egli stesso dichiara.
Tornato in Russia e messosi a contatto con gruppi intellettuali di sinistra, il Nostro constata nuovamente l'inutilità degli sforzi fatti da coloro che tentavano la rigenerazione del paese attraverso gli zemstvos. [2] Tale opera era sospettata come separatista, come tendente a creare uno Stato dentro lo Stato, e perseguitata a tal punto che qualsiasi tentativo di miglioramento nel campo amministrativo, sanitario e scolastico abortiva miseramente, portando con sé la rovina di interi gruppi degli eletti agli zemstvos.
Nonostante le disillusioni subite durante l'attività amministrativa precedente l'abbandono della Russia, Kropotkin si rimette all'opera, ed avendo ereditato la proprietà paterna di Tambov, vi si stabilisce, dedicando tutte le sue energie allo Zemstvo locale. Ma deve constatare ancora una volta l'impossibilità di istituire scuole, cooperative, fattorie-modello, senza creare nuove vittime del governo centrale.
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Dagli articoli che il Kropotkin pubblicò, tra il 1879 e il 1882, sul Révolté di Ginevra, appare evidente che la vita amministrativa degli Stati occidentali non gli offrì che nuova materia alla critica anti-statale, e lo confermò sempre più nelle sue idee federaliste e libertarie. Ovunque vi è l'accentramento trova potente la burocrazia, "un'armata di impiegati, veri ragni dalle dita adunche, che vedono l'universo solo attraverso le sudicie invetriate dei loro uffici e non lo conoscono che a mezzo dei loro scartafacci e formulari assurdi - una banda nera, che non ha che una religione, quella dello scudo, - non ha che un pensiero, quello di appiccicarsi ad un partito qualunque, nero, violetto o bianco, purché garantisca un massimo di salario per un minimo di lavoro". [3] E l'accentramento, portante al funzionarismo ad oltranza, appare al Kropotkin come una delle caratteristiche del regime rappresentativo.
Egli vede nel parlamentarismo il trionfo dell'incompetenza, e così parla, con pittoresca ironia, dell'attività amministrativa e legislativa del deputato, che non è chiamato a giudicare e a provvedere per quanto è di sua particolare competenza e si riferisce al proprio collegio ma ad emettere un'opinione, a dare un voto sopra serie variante all'infinito delle questioni che sorgono in quella mastodontica macchina che è lo Stato centralizzato.
Dovrà votar la tassa sui cani e la riforma dell'insegnamento universitario, senza avere mai messo piede nell'Università, senza conoscere un cane di campagna. Dovrà pronunciarsi sui vantaggi del fucile Gras e sul posto da scegliere per le scuderie dello Stato. Voterà sulla filossera, il grano, il tabacco, l'insegnamento primario e il risanamento delle città; sopra la Cocincina e la Guiana, sui tubi dei camini e l'Osservatorio di Parigi. Non ha mai visto i soldati, se non alle riviste, ma ripartirà i corpi d'armata; non ha mai conosciuto un arabo, ma farà e disfarà il codice mussulmano in Algeria. Voterà per lo shako od il képi secondo i gusti della sua signora. Proteggerà lo zucchero e sacrificherà il grano. Ucciderà la vita credendo di proteggerla: voterà il rimboschimento contro il pascolo e proteggerà il pascolo contro la selva. Sarà competente in materia bancaria. Sacrificherà un canale ad una strada ferrata, senza saper troppo in quale parte della Francia si trovino l'uno e l'altra. Aggiungerà nuovi articoli al codice penale, senza averlo mai consultato. Proteo, onnisciente ed onnipotente, oggi militare, domani porcaro, quindi volta a volta banchiere, accademico, spazzino, medico, astronomo, fabbricante di droghe, conciapelli, negoziante, secondo gli ordini del giorno della Camera, egli non esiterà giammai. Abituato dalla sua funzione d'avvocato, di giornalista o di oratore d'assemblee pubbliche, a parlare di ciò che non conosce, egli voterà sopra tutte queste ed altre questioni e altre ancora, con la sola differenza: mentre col giornale non divertiva che il portinaio pettegolo e alle assise non svegliava con la sua voce che i giudici e i giurati sonnolenti, alla Camera la sua opinione stabilirà la legge per trenta o quaranta milioni di abitanti. [4]
Ma il mondo occidentale, insieme agli assurdi amministrativi dei regimi rappresentativi accentrati, gli rivela, più vasta e complessa, quell'immensa forza osservata nel Mir russo: quella delle libere associazioni, che "si estendono e cominciano a coprire tutti i rami dell'attività umana", e che gli fanno affermare che "l'avvenire appartiene alla libera associazione degli interessati e non all'accentramento governativo" [5] Specialmente gli anni passati in Inghilterra, paese in cui l'autarchia dei cittadini e l'enorme sviluppo della libera iniziativa non possono non colpire profondamente lo straniero venuto da paesi slavi e latini, hanno spinto il Nostro a dar valore, in certi casi eccessivo, alle associazioni.
Alla conoscenza diretta del mondo occidentale il Kropotkin aggiunse un nuovo indirizzo dei suoi studi. Geografo in Russia, diventa uno storico appassionato in Inghilterra. Egli vuole comprendere lo Stato e sa che per comprenderlo "non vi è che un mezzo: quello di studiarlo nel suo sviluppo storico". Egli constata con entusiasmo [6] che la tendenza generale delle scienze è quella "di studiare la natura non attraverso i grandi risultati, le grandi somme, ma piuttosto attraverso i singoli fenomeni, i singoli elementi". Anche la storia, cessando di essere storia di dinastie, è divenuta storia di popoli. Tanto di guadagnato per il metodo storico, ma anche tanto di guadagnato per la concezione federalista, perché apparirà evidente che i grandi rinnovamenti non si sono svolti nelle regge e nei parlamenti, ma nelle città, nelle campagne. Datosi agli studi storici, il Nostro vede nell'eccessivo accentramento dell'impero romano la causa della sua caduta e nell'epoca dei Comuni la rinascenza del mondo occidentale.
È nell'affrancamento dei Comuni e nella sollevazione dei popoli e dei Comuni contro gli Stati, che noi troviamo le più belle pagine della storia. Certo, trasportandoci verso il passato, non sarà verso un Luigi XI o verso un Luigi XV o verso Caterina II che noi volgeremo gli sguardi nostri; ma sarà piuttosto sui Comuni e le repubbliche di Amalfi e di Firenze, di Tolosa e di Laon, Liegi e Coutray, Amburgo e Norimberga, Pskov e Novgorod.
Il Kropotkin nel trarre esempi dalla società medioevale è caduto in diversi errori di interpretazione, [7] dovuti, più che altro, al fatto che le fonti a cui ha attinto (come le opere del Sismondi) non erano ancora giunte fin dove è penetrata l'indagine storica odierna. Non bisogna credere, però, com'è affermato da alcuni superficiali, che il Nostro pensasse all'epoca dei Comuni come ad una specie di età dell'oro. "Si dirà forse che dimentico i conflitti, le lotte intestine, di cui è piena la storia di questi Comuni, i tumulti nelle strade, le battaglie accanite contro i signori, le insurrezioni delle 'arti giovani' contro le 'arti antiche', il sangue versato e le rappresaglie verificatesi in queste lotte ... Ebbene, no, non dimentico nulla. Ma, come Leo e Botta, - i due storici dell'Italia Meridionale - come Sismondi, Ferrari, Gino Capponi e tanti altri, scorgo che queste lotte furono la garanzia stessa della vita libera nelle 'città libere'''. [8] E sono state queste lotte intestine che hanno permesso, secondo il Nostro, l'intervento del re e la tendenza del Comune medioevale a circoscriversi fra le sue mura. [9]
Un altro campo storico vangato dal Kropotkin è quello della Rivoluzione francese. Egli è avverso alla borghesia dell'89 sognante "l'abolizione di tutti i poteri locali e parziali che costituivano altrettante unità autonome nello Stato, l'accentramento di tutta la potenza governativa nelle mani di un potere esecutivo centrale, strettamente sorvegliato dal Parlamento – strettamente obbedito nello Stato e conglobante tutto: imposte, tribunali, polizia, forze militari, scuole, sorveglianza poliziesca, direzione generale del commercio e dell'industria – tutto". [10] Ai Girondini rimprovera di aver tentato di dissolvere i comuni e si ferma a dimostrare che il loro federalismo era una formula di opposizione e che in tutto quello che hanno fatto si sono mostrati centralizzatori quanto i Montagnardi.
Per il Kropotkin le Comuni furono l'anima della rivoluzione francese [11] ed egli illustra il movimento comunalista, [12] tendendo a dimostrare che una delle cause principali della decadenza delle città fu l'abolizione dell'assemblea plenaria dei cittadini, che possedeva il controllo della giustizia e dell’amministrazione.
L'epoca dei Comuni e la Rivoluzione francese furono, come per il Salvemini, i due campi storici in cui il Kropotkin trovò conferme alle proprie idee federaliste ed elementi di sviluppo della sua concezione libertaria della vita e della politica. Ma in lui permaneva vivo il ricordo delle osservazioni sul Mir russo e sul libero accordo delle popolazioni primitive, ed è appunto questo ricordo che lo portò ad un federalismo integrale, che talvolta pecca di quel semplicismo populista che predomina nella Conquista del pane.
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Studiando le teorie socialiste, il Nostro assume un atteggiamento negativo di fronte ai Sansimoniani e ai cosiddetti Utopisti, specie il Cabet, perché fondavano i loro sistemi su una gerarchia di amministratori, mostrandosi invece entusiasta per la teoria comunalista del Fourier. [13] E respinge il collettivismo di Stato, perché pur modificando notevolmente il regime capitalista "non distrugge per questo il salariato", poiché “lo Stato ossia il Governo rappresentativo, nazionale o comunale, prende il posto del padrone” sì che i suoi rappresentanti e i suoi funzionari assorbono, rendendolo necessario, il plus-valore della produzione. [14] Vale anche per lo Stato socialista questa considerazione:
Quale quantità di lavoro ciascuno di noi dà allo Stato? Nessun economista ha mai cercato di calcolare il numero delle giornate di lavoro che il lavoratore dei campi e delle officine dà ogni anno a questo idolo babilonese. Si sfoglierebbero invano i trattati di economia politica per arrivare ad una valutazione approssimativa di ciò che l'essere umano produttore delle ricchezze, dà del suo lavoro allo Stato. Una semplice valutazione basata sul bilancio dello Stato, della nazione, delle province e dei comuni (che contribuiscono alle spese dello Stato) non direbbe nulla, perché si dovrebbe stimare non ciò che entra nella cassa del Tesoro, ma ciò che ogni lira versata al Tesoro rappresenta di spesa reale fatta dal contribuente. Tutto ciò che noi possiamo dire, è che la quantità di lavoro data ogni anno dal produttore allo Stato è enorme. Essa deve raggiungere, e per certe classi superare i tre giorni di lavoro alla settimana, che il servo dava una volta al suo signore [15].
Anche lo Stato socialista cercherebbe di estendere le sue attribuzioni e ciò perché "ciascun partito al potere ha l'obbligo di creare nuovi impieghi per i suoi clienti", e ciò, oltre a gravare con le spese di amministrazione sulla vita economica della nazione, costituirebbe una oligarchia di incompetenti. "Fa d'uopo invece lo spirito collettivo delle moltitudini esercitato sulle cose concrete”.
Lo spirito collettivo, termine generico che nella Conquista del pane diventa: "il popolo", "la comune", la "società", ecc., che fa giustizia, organizza tutto, risolve i problemi più complessi. È una specie di divinità, della quale Saverio Merlino ha scritto, con giusta ironia, che fa la parte del coro nelle tragedie greche, [16] e che i più acuti rappresentanti dell'anarchismo sono lontani dall'adorare. Se il federalismo kropotkiniano pecca di indeterminatezza e di eccessiva fiducia nelle capacità politiche del popolo, si rende notevole per la larghezza di vedute. Non vi può essere un federalismo conseguente che non sia integrale. E questo non può che essere socialista e rivoluzionario.
Dell'integralismo del pensiero federalista del Nostro fanno fede molti passi dei suoi scritti. Ecco alcune delle affermazioni più esplicite:
"Federalismo e autonomia non bastano. Non sono che parole per coprire l'autorità dello Stato accentrato"; "Oggigiorno, lo Stato è giunto ad immischiarsi in tutte le manifestazioni della nostra vita. Dalla culla alla tomba, esso ci serra nelle sue braccia. Ora come Stato centrale, ora come Stato-provincia o cantone, ora come Stato-comune, egli segue tutti i nostri passi, appare ad ogni canto di via, ci si impone, ci tiene, ci tribola".
Il Comune libero è “la forma politica che dovrà prendere una rivoluzione sociale”. Egli esalta la Comune di Parigi, appunto perché in essa l'indipendenza comunale era un mezzo, e la rivoluzione sociale lo scopo. La Comune del secolo XIX “non sarà unicamente comunalista, ma comunista, rivoluzionaria in politica, lo sarà pure nelle questioni di produzione e di scambio”. O la Comune sarà assolutamente "libera di darsi tutte le istituzioni che vorrà e di fare tutte le riforme e rivoluzioni che troverà necessarie", o resterà "una semplice succursale dello Stato, inceppata in tutti i suoi movimenti, sempre sul punto di entrare in conflitto con lo Stato e certa di essere vinta nella lotta che ne avverrebbe.”
Per il Nostro dunque i comuni liberi sono l'ambiente necessario alla rivoluzione perché essa raggiunga il suo massimo sviluppo.
Il suo federalismo aspira a questo: “L'indipendenza completa dei Comuni, la Federazione dei Comuni liberi e la rivoluzione sociale nel comune, ossia i gruppi corporativi per la produzione sostituenti la organizzazione statale”.
Il Kropotkin dice ai contadini: “Un tempo, il suolo apparteneva ai Comuni, composti di coloro che coltivavano la terra essi stessi, con le loro braccia”, ma a forza di frodi, di soprusi, di violenze, le terre comunali sono divenute possesso privato. “Bisogna dunque che i contadini, organizzati in Comuni, riprendano queste terre, per metterle a disposizione di coloro che vorranno coltivarle”.
E ancora: “Vi occorre una strada? - ebbene, gli abitanti delle Comuni vicine s'intendano fra di loro ed essi la faranno meglio che il Ministero dei lavori pubblici - Una strada ferrata? I Comuni interessati di una intera regione la faranno meglio degli appaltatori, che accumulano i milioni facendo cattive strade. - Vi abbisognano scuole? Le farete bene voi stessi al pari dei signori di Parigi ed anche meglio di loro. Lo Stato non ha nulla a che vedere in tutto questo; scuole, strade, canali saranno fatti meglio da voi stessi, e con minore spesa".
Questi passi delle Parole di un ribelle rendono evidente che nella Conquista del pane, là dove dice che il Comune distribuirà le derrate, razionerà la legna, regolerà il pascolo, dividerà le terre, ecc., non si intende il Comune "succursale dello Stato”, ma l'associazione libera degli interessati, che può essere, volta a volta, la cooperativa, la corporazione, o la semplice unione provvisoria di più persone unite da un bisogno comune.
Il Kropotkin non si preoccupa molto, pur riconoscendone la gravità, dei pericoli inerenti al particolarismo. Ecco un passo caratteristico a questo riguardo:
Ancora ai giorni nostri, lo spirito di campanile potrebbe eccitare tante gelosie fra due Comuni vicini, impedire la loro alleanza diretta e accendere anche lotte fratricide. Ma se queste gelosie possono effettivamente impedire la federazione diretta di questi due Comuni, è per mezzo dei grandi centri che questa federazione si stabilì. Oggi, due piccolissimi municipi vicini non hanno spesso nulla che li unisca direttamente: le poche relazioni che mantengono servirebbero piuttosto a far nascere dei conflitti che a stringere dei legami di solidarietà. Ma tutti e due hanno già un centro comune col quale sono in frequenti relazioni, senza del quale non potrebbero esistere; e malgrado tutte le gelosie di campanile, essi si vedranno costretti all'unione per mezzo della grande città, dove si forniscono e dove portano i loro prodotti; ciascun d'essi dovrà far parte della medesima federazione, per mantenere le proprie relazioni con questo focolare di richiamo ed unirsi intorno a lui.
Abbiamo anche qui una semplificazione del problema federalista. Per ben giudicare il Kropotkin bisogna tener conto non soltanto di quel che ha scritto ma anche di quello che non ha potuto scrivere. Certe frettolosità, certe lacune, certe eccessive semplificazioni di problemi complessi non sono dovute solo alla sua forma mentis, ma anche all'impossibilità materiale di sviluppare i propri punti di vista. Kropotkin ha scritto quasi sempre per giornali destinati ad essere letti da gente del popolo. Profondamente democratico, ha sempre rinunciato volontariamente ai paludamenti del dottrinario per mettersi in maniche di camicia, come il Malatesta, che pure è teorico originale e uomo colto. Anche i suoi opuscoli non rappresentano l'intera manifestazione delle sue idee, l'esposizione completa delle sue ricerche, e il perché ce lo dice egli stesso nelle Memorie: "Bisognava elaborare uno stile tutto nuovo per questi opuscoli. Confesso che spesso invidiavo quegli scrittori che dispongono di quante pagine vogliono per sviluppare le idee e ai quali è permessa la scusa del Talleyrand: 'Non ho avuto il tempo per essere breve'. Quando mi toccava condensare i risultati del lavoro di vari mesi - su, diciamo, le origini della legge - in un opuscolo da due soldi, mi ci voleva assai tempo per abbreviare”.
Queste difficoltà materiali il Nostro non le incontrò che fino al 1884 circa; dopo, per quasi trent'anni, ebbe modo di scrivere dei libri poderosi.
Ma in questo secondo periodo egli fu più un dottrinario che un agitatore e il suo pensiero fu occupato in ricerche storiche e studi scientifici. Sì che Le parole di un ribelle rimangono la sua migliore opera anarchica, per freschezza di espressione e coerenza ideologica.
Qualcuno ha voluto vedere nell'atteggiamento assunto dal Kropotkin nel 1914 delle analogie con quello di Bakunin del 1871. Bakunin era per la difesa rivoluzionaria della Francia dopo che a Parigi la rivoluzione aveva spazzato via la monarchia; ed era avverso anche al Governo repubblicano di Parigi contro il quale predicò l'insurrezione per opporre all'esercito tedesco soltanto la rivoluzione popolare.
Con l'interventismo il Kropotkin si staccò dall'anarchismo, e giunse a firmare il cosiddetto "Manifesto dei Sedici" del 1916, il quale segnò il culmine dell'incoerenza degli anarchici interventisti, e fu a fianco di Kerensky, in Russia, per la prosecuzione della guerra.
Kropotkin vide che il problema federalista è un problema tecnico, ed egli infatti afferma nel suo libro, La scienza moderna e l'anarchia, che l'uomo sarà costretto a trovare nuove forme di organizzazione per le funzioni sociali che lo Stato esplica attraverso la burocrazia e che "finché questo non si farà, nulla sarà fatto", ma non poté, per la sua vita ora avventurosa, ora strettamente scientifica, sviluppare sistematicamente la sua concezione federalista. E a tale sviluppo si opponeva, per la parte progettistica, la sua stessa concezione anarchica nella quale l'élan vital popolare costituisce l'anima dell'evoluzione nelle sue parziali realizzazioni, varianti all'infinito nello spazio e nel tempo della storia.
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Quale fu l'atteggiamento assunto dal Kropotkin di fronte alla guerra europea e alla rivoluzione russa? Credo interessante parlarne, poiché al determinarsi di tale atteggiamento contribuì il pensiero federalista del Nostro. Nelle sue Memorie, Kropotkin scrive: "Il conflitto fra i marxisti ed i bakunisti non fu una questione personale. Fu il conflitto necessario tra i principi di federalismo ed i principi di centralismo, fra la Comune libera ed il governo dello Stato, tra l'azione libera delle masse popolari marcianti verso la loro emancipazione ed il perfezionamento legale del capitalismo in vigore - un conflitto fra lo spirito latino e lo spirito tedesco". Scoppiata la guerra europea il Nostro vide nella Francia la conservatrice dello spirito latino, cioè della Rivoluzione, e nella Germania il trionfo della Statolatria, cioè della reazione. Il suo atteggiamento fu quello dell'interventista democratico. E fece, in un primo tempo, comunella con gli sciovinisti dell'Intesa e cadde, come cadde il Guillaume, [17] nell’esagerazione.
Ma nella unilateralità della sua posizione è notevole la conferma della sua fede federalista. Egli era contro la Germania perché vedeva in essa un pericolo per l'autonomia dei popoli e per il decentramento. Nella sua lettera allo svedese prof. G. Steffen [18] egli faceva presente:
Per gli Stati orientali dell'Europa e specialmente per la Russia, la Germania era il punto di appoggio principale di ogni reazione. Il militarismo prussiano, lo scherno di istituzioni popolari rappresentative offerto dal Reichstag tedesco e il servaggio delle nazionalità soggette in Alsazia e specialmente nella Russia Polacca dove i cittadini sono trattati peggio che in Russia - senza la protesta dei partiti politici avanzati - questi frutti dell'impero tedesco sono le lezioni che la moderna Germania, la Germania di Bismarck impartiva a tutti i suoi vicini e specialmente all'assolutismo russo. L'assolutismo si sarebbe mantenuto tanto a lungo in Russia e avrebbe permesso lo schiacciamento dei polacchi e dei finlandesi se non avesse avuto per maestra la "cultura tedesca", e se l'autorità non fosse stata sicura della protezione della Germania?
E prevedendo la critica: Dimenticate l'autocrazia russa? - scriveva:
Nessuno pensa che dopo la presente guerra nella quale tutti i partiti russi sono insorti all'unanimità contro il comune nemico possa esservi la possibilità di un ritorno alla vecchia autocrazia; questo è materialmente impossibile. Coloro che hanno seriamente seguito il movimento rivoluzionario russo nel 1905 sanno quali furono le idee dominanti durante il periodo della prima e la seconda Duma eletta in modo relativamente libero. Essi sanno sicuramente che l'home-rule di tutte le parti che compongono l'impero fu la base fondamentale di tutti i partiti liberi e radicali. Non v'ha di più. La Finlandia compiva la sua rivoluzione nella forma di una democratica autonomia e la Duma la approvava. E infine coloro che conoscono la Russia e il suo ultimo movimento comprendono certamente che la vecchia autocrazia non sarà mai più ristabilita nella forma in cui era prima del 1905 e che una costituzione russa non potrà mai prendere le forme imperialiste e lo spirito che il parlamentarismo ha preso in Germania. Secondo noi, che conosciamo la Russia ben addentro, siamo sicuri che giammai i russi saranno capaci di diventare una nazione aggressiva e bellicosa, com'è la Germania. Non soltanto l'intera storia della Russia lo dimostra, ma il modo com'è costituita la Federazione Russa impedisce in un futuro molto prossimo lo sviluppo militarista.
Per il Kropotkin la Russia era il paese del Mir, il paese che gli aveva offerto larga messe di osservazioni sui frutti e le possibilità dell'iniziativa popolare.
La guerra europea lo allontanò dalla sua famiglia politica: il movimento anarchico; la rivoluzione russa di ottobre lo fece rientrare in essa.
Kropotkin scriveva, molti anni or sono, combattendo l'illusione che le società segrete rivoluzionarie avevano di potere, abbattuta la tirannide zarista, sostituire al meccanismo burocratico abbattuto, una nuova amministrazione costituita di rivoluzionari onesti e intransigenti: "Altri – i prudenti che lavorano per crearsi un nome, mentre i rivoluzionari forano le loro mine o periscono in Siberia; altri - gli intriganti, i parlatori, gli avvocati, i letterati che ad intervalli versano una lacrima ben presto asciutta sulla tomba degli eroi e si spacciano per amici del popolo - ecco coloro che occuperanno il posto vacante del governo e grideranno Indietro! agli 'sconosciuti' che avranno preparata la rivoluzione". La profezia del Nostro ha avuto la più ampia conferma, ed il Nostro è stato all'opposizione, opposizione che avrebbe avuto molta ripercussione se il suo interventismo ad oltranza non gli avesse tolto ogni prestigio politico.
In un'intervista ad Augusto Souchy, pubblicata da Erkenntnis und Befreiung di Vienna, il Kropotkin dice: "Noi dovremmo aver dei Consigli di comune. I Consigli comunali dovrebbero lavorare di propria iniziativa. Provvedere, ad esempio che, in caso di cattiva raccolta, la popolazione non manchi dei generi di prima necessità. Il governo centralizzato è, in questo caso, un apparato oltremodo pesante. [19] Mentre federalizzando i Consigli si creerebbe un centro vitale". Nel suo incontro con Armando Borghi, il Kropotkin insisté molto sul ruolo dei sindacati come cellule della rivoluzione sociale autonomista ed antiautoritaria. In una delle sue ultime lettere (23 dicembre 1920) all'anarchico olandese De Reyger, che fu pubblicata dal Vrije Socialist, il Nostro scriveva: "La Rivoluzione sociale ha preso disgraziatamente, in Russia, un carattere centralizzatore e autoritario”.
Il pensiero del Kropotkin sulla rivoluzione russa è espresso in un messaggio ai lavoratori occidentali, rimesso il 10 giugno 1920 a Miss Bonfield, che con altri delegati del Labour Party si recò a salutarlo nel suo romitorio di Dimitrov (sobborgo di Mosca). [20] Questo messaggio è un notevole documento per la storia della rivoluzione russa.
Il Kropotkin, premesso che, se il tentativo di stabilire una società nuova mediante la dittatura di un partito è destinato a fallire, non si può non riconoscere che la rivoluzione ha introdotto nella vita russa nuove concezioni sulla funzione sociale e sui diritti del lavoro e sui doveri dei singoli cittadini, espone le sue idee, facendo una critica serena ma intransigente al bolscevismo, come dittatura di partito e come governo accentrato.
Il primo problema, generale, è quello delle nazionalità che compongono la Russia. Su questa questione il Kropotkin scrive:
Una ripresa delle relazioni tra le nazioni americane, europee e la Russia non deve certamente significare l'ammissione della supremazia della nazione russa sulle nazionalità di cui l'impero degli Zar russi era composto. La Russia imperiale è morta e non risusciterà mai più. L'avvenire delle diverse province che componevano l'Impero sarà verso una grande federazione. I territori naturali delle differenti parti di questa federazione sono affatto distinti da quelli che ci sono familiari colla storia della Russia, della sua etnografia e della sua vita economica. Tutti i tentativi per ricondurre le parti costituenti dell'impero russo, Finlandia, Province Baltiche, Lituania, Ukraina, Georgia, Armenia, Siberia ed altre, sotto una autorità centrale sono sicuramente votate al fallimento. L'avvenire di ciò che fu l'impero russo è verso una federazione di unità indipendenti. Perciò sarebbe nell'interesse di tutte le nazioni occidentali che esse dichiarassero innanzi tutto di riconoscere a ciascuna frazione dell'ex impero russo il diritto di governarsi da se stessa.
Ma il federalismo del Nostro va più in là di questo programma di autonomia etnografica. Egli dice di intravedere, nel prossimo avvenire “un tempo in cui ciascuna parte della federazione sarà essa stessa una libera federazione di comuni rurali e di città libere, ed io credo egualmente che l'Europa occidentale si avvierà in questa direzione”.
Ed ecco delineata la tattica rivoluzionaria degli autonomisti federalisti ed esposta la critica all'accentramento statolatra dei bolscevichi:
La rivoluzione russa - continuatrice delle due grandi rivoluzioni inglese e francese – si sforza di progredire dal punto ove si è fermata la Francia quando ebbe raggiunta la nozione dell'eguaglianza di fatto, vale a dire dell'eguaglianza economica. Disgraziatamente questo tentativo è stato fatto in Russia sotto la dittatura fortemente centralizzata di un partito, quello dei bolscevichi. Lo stesso tentativo era stato fatto da Babeuf e dai suoi seguaci, tentativo centralista e giacobino. Debbo francamente confessare che, a mio modo di vedere, questo tentativo di edificare una repubblica comunista su basi statali fortemente centralizzate, sotto la legge di ferro della dittatura di un partito, sta risolvendosi in un fiasco formidabile. La Russia ci insegna come non si debba imporre il comunismo, sia pure ad una popolazione stanca dell'antico regime ed impotente ad opporre una resistenza attiva all'esperimento dei nuovi governanti. L'idea dei Sovieti, o dei Consigli di operai e contadini, già preconizzata durante il tentativo rivoluzionario del 1905 e realizzata senz'altro nel febbraio del 1917 , fu un'idea meravigliosa. Il fatto stesso che questi Consigli debbano controllare la vita politica ed economica del paese suppone ch'essi debbano essere composti da tutti quanti partecipano personalmente alla produzione della ricchezza nazionale. Ma fintantoché un paese è sottoposto alla dittatura di un partito, i Consigli di operai e contadini perdono evidentemente ogni significato. La loro funzione si riduce alla parte passiva rappresentata nel passato dagli Stati generali o dai parlamenti, convocati dal monarca e costretti a tener testa ad un onnipotente Consiglio reale. Un Consiglio del lavoro non può essere un corpo consultivo libero ed efficace quando manchi la libertà di stampa, situazione in cui ci troviamo in Russia da quasi due anni col pretesto dello stato di guerra. E quando le elezioni sono fatte sotto la pressione dittatoriale di un partito, i Consigli di operai e contadini perdono la loro forza rappresentativa. Si vuole giustificare tutto ciò dicendo che per combattere l'antico regime occorre una legge dittatoriale. Ma ciò costituisce un regresso quando si tratta di procedere alla costruzione di una nuova società su basi economiche nuove. Essa equivale alla condanna a morte della ricostruzione. I mezzi impiegati per rovesciare un Governo già debole e prenderne il posto sono conosciuti dalla storia antica e moderna. Ma quando occorre costruire nuove forme di vita, specialmente riguardo alla produzione e agli scambi, senza avere alcun esempio da imitare, quando ciascun problema deve essere risolto prontamente, allora un governo onnipotente fortemente centralizzato, che si occupi di tutte le piccole cose, si trova assolutamente incapace a far ciò per mezzo dei suoi funzionari. Per quanto innumerevoli siano, diventano un ostacolo. Si sviluppa così una formidabile burocrazia di fronte alla quale quella del sistema francese che richiede l'intervento di 40 funzionari per vendere un albero abbattuto sulla via da una tempesta, diventa una bagatella. E voi, lavoratori d'Occidente dovete e potete evitare ciò con tutti i mezzi, poiché tutti dovete preoccuparvi del successo di una ricostruzione sociale. L'immenso lavoro ricostruttivo richiesto da una rivoluzione sociale non può essere compiuto da un governo centrale, anche se per guidarsi in questo lavoro avesse qualcosa di più sostanziale di qualche opuscolo socialista o anarchico. Ci vuole la conoscenza, l'intelletto e la collaborazione volontaria di una massa di forze locali e specializzate le quali sole possono vincere le difficoltà che si affacciano dei diversi problemi economici nei loro aspetti locali. Respingere questa collaborazione ed affidarsi al genio dei dittatori di partito è come distruggere tutti i nuclei indipendenti, come i sindacati chiamati in Russia unioni professionali, e le cooperative di consumo locali, trasformandoli in organi burocratici del partito come si fa attualmente. Questo è il mezzo non di compiere la rivoluzione, ma di rendere impossibile la sua realizzazione. Perciò io considero come mio dovere di consigliarvi di non prendere mai una tale linea d'azione.
Questo il pensiero del Nostro sulla rivoluzione russa, a conferma di tutta la sua propaganda. E questo è il pensiero che ha animato ed anima l'opposizione degli anarchici russi.
Il Kropotkin, vecchio, malato, in miseria, è morto nell'inazione, dopo aver tentato di promuovere un movimento federalista ma senza poter realizzare nulla per la mancanza di libertà e perché il suo interventismo ad oltranza gli aveva tolto ogni prestigio politico. Il problema federalista sia nel campo delle nazionalità sia in quello dell'organizzazione politica ed economica è il problema vitale della Russia. Quando l'esperienza e l'opposizione avranno condotto, definitivamente, i comunisti russi fuori dei loro schemi dottrinali e l'unione dei partiti di sinistra muoverà i primi passi sulla via della nuova rivoluzione, la figura di Pëtr Kropotkin apparirà in tutta la sua alta statura e il suo pensiero sarà di alimento ai nuovi ricostruttori. Nel federalismo kropotkiniano vi è un eccessivo ottimismo, vi sono semplicismi e contraddizioni, ma vi è una grande e feconda verità: che la libertà è condizione di vita e di sviluppo per i popoli; che soltanto quando un popolo si governa da sé e per sé è al sicuro dalla tirannide e certo del suo progredire.
Note dell'autore
[1] Il Kropotkin vede in quella esperienza “la prima scintilla dell'anarchismo”.
[2] Zemstvos: Consigli di distretto e di provincia
[3] Pëtr Kropotkin, Parole di un ribelle, Casa Editrice Sociale, Milano, 1921, p. 42
[4] Pëtr Kropotkin, Parole di un ribelle, pp. 95-96
[5] Pëtr Kropotkin, Parole di un ribelle, pp. 207-208, La conquista del pane, ed. 1920, pp. 138-144; Il mutuo appoggio, Casa Editrice Sociale, Milano, 1925, cap. VII-VIII, Conclusione
[6] Pëtr Kropotkin, Les temps nouveaux, Paris, 1894; La conquista del pane, pp. 129-130; P. K., La scienza moderna e l'anarchia, Casa Editrice Sociale, Milano, p. 18
[7] Questo specialmente nella conferenza: Lo Stato, Ed. Università Popolare, Milano, 1910. In parte giusta è la critica che lo Zoccoli fa, a questo riguardo, al Kropotkin. Vedi L'Anarchia, Bocca, Torino, 1906. pp. 494-495.
[8] La conquista del pane, pp. 4-5
[9] Parole di un ribelle, pp. 122, 125
[10] La grande rivoluzione, Ed “Il Risveglio”, 1911, Vol I, p. 9
[11] Idem, Vol I, pp. 219-220
[12] Idem, Vol I, cap. XV-XXI; Vol II, cap. XXIV-XXV
[13] Pëtr Kropotkin., La scienza moderna e l'anarchia, pp. 79, 83, 84, 87
[14] Pëtr Kropotkin, La conquista del pane, p. 64; La scienza moderna e l'anarchia, p. 103
[15] Pëtr Kropotkin, La scienza moderna e l'anarchia, p. 105
[16] Si veda il passo in F. S. Merlino, L'individualismo nell'anarchismo, 1893
[17] James Guillaume, autore dell'infelice opuscolo, Karl Marx, pangermaniste, 1915
[18] Nel fascicolo dell'ottobre 1914 della rivista Freedom di Londra
[19] Il Kropotkin espresse la propria ostilità per l'economia coercitiva del governo bolscevico in una intervista con W. Meakin, corrispondente del Daily News. Si veda anche l'interessante intervista con A. Berkman nel Libertaire del 24 febbraio 1922.
[20] Una riproduzione incompleta di questo messaggio la pubblicò Umanità Nova, 22 Luglio 1920.