David Graeber

L'economia di merda

(2020)

 



Nota

Una riflessione ben centrata sulla cosiddetta “economia” durante il periodo del confinamento sociale (2020) a seguito della diffusione di un virus. Uno scritto che dovrebbe aprire gli occhi e il cervello di molti abituati a ripetere vuote formule e la cui esistenza è manovrata da un pilota automatico programmato dall’alto.

Fonte, David Graeber, Vers une "bullshit economy", Maggio 2020.

 


 

In Inghilterra e negli Stati Uniti si parla, continuamente e in vari modi, della necessità di "rilanciare l'economia", di "far ripartire la nostra economia in modo che possa funzionare a pieno regime". Queste frasi danno l'impressione che l'economia sia una specie di enorme turbina rombante che è stata temporaneamente spenta e che deve essere rimessa in funzione il prima possibile. Spesso siamo incoraggiati a pensare all'economia in questi termini, anche se, non molto tempo fa, ci è stato detto che la macchina funzionava da sola. Purtroppo non aveva un pulsante di pausa o di accensione/spegnimento, e se ne avesse avuto uno, sarebbe stato meglio non premere il pulsante di spegnimento, perché le conseguenze sarebbero state immediate e disastrose. Ma ecco che scopriamo, stupiti, che questo pulsante esiste davvero.
Tuttavia, si può essere tentati di portare la riflessione un po' più in là: cosa intendiamo esattamente quando parliamo di "economia" ? In sostanza, se l'economia è il sistema che permette alle persone di vivere, di essere nutrite, vestite, alloggiate e persino intrattenute, allora per la maggior parte di noi l'economia ha funzionato a meraviglia durante il confinamento. Ma se l'economia non è proprio l'approvvigionamento di beni di prima necessità, allora cos'è?

Chiunque abbia un po' di buon senso non sarebbe dispiaciuto nel vedere che le tante attività che facevano parte della nostra vita sociale riprendono da dove si erano interrotte: dai bistrot, al bowling, alle università. Ma il punto è questo: tali attività, per la maggior parte di noi, appartengono alla "vita", non all'"economia". E dobbiamo costatare che le nostre politiche non hanno messo la vita all'ordine del giorno. Ma poiché viene detto alle persone di rischiare la vita, la loro vita, per il bene dell'economia, è fondamentale capire cosa intendono con questa parola.

Sebbene questa nozione sia oggi considerata un fatto naturale, l'idea stessa di un sistema designato con il temine "economia" è un concetto relativamente recente. Sarebbe stato incomprensibile per Lutero, Shakespeare o Voltaire. Gradualmente, la società ha accettato la sua esistenza, ma la realtà che copre è rimasta mutevole. Così, quando il termine "economia politica" entrò nell'uso comune all'inizio del XIX secolo, l'idea a cui si riferiva era molto vicina all' "ecologia" (la sua cugina dal punto di vista etimologico): entrambi i termini si applicavano a sistemi che erano considerati autoregolantisi e che, fintantoché mantenevano il loro equilibrio naturale, producevano una ricchezza aggiuntiva - profitti, crescita, natura abbondante - di cui l’essere umano poteva godere senza limiti.

 

Un eccesso glorificato

Ma sembra che siamo arrivati a una fase in cui l'economia non è un meccanismo per provvedere ai bisogni umani o persino ai desideri delle persone, ma, in gran parte, a generare quel piccolo sovrappiù che costituisce la ciliegina sulla torta: ciò che provoca l'aumento del PIL. Tuttavia, il confinamento a seguito della diffusione del virus ci ha mostrato a sufficienza una cosa: tutto ciò è solo fumo negli occhi. In altre parole, siamo arrivati al punto in cui l'economia è solo un vasto nome in codice per una economia di merda (bullshit economy). Questa economia produce degli eccessi, ma non degli eccessi glorificati come qualcosa di superfluo in sé stesso, come avrebbe potuto fare l'aristocrazia in passato, ma un eccesso coltivato con violenza e presentato come il regno della necessità, della "utilità", della "produttività", insomma, il prodotto di un freddo e folle realismo.

Quello che ci viene richiesto adesso di compiere, cioè "far ripartire l'economia" è proprio quella parte idiota dell’economia dove i manager supervisionano altri manager, il mondo dell'economia popolato dai consulenti per le Risorse Umane e dagli imbonitori telemarketing, in cui operano i brand manager, i decani e la schiera dei vice-presidenti dello sviluppo creativo (supportati dalla loro coorte di assistenti), il mondo degli amministratori scolastici e ospedalieri, coloro che sono pagati profumatamente per "studiare" le immagini per le riviste in carta patinata dedicate alla "cultura", che vengono prodotte da queste aziende i cui operai, dopo il taglio degli effettivi ed essere messi continuamente sotto pressione, sono costretti ad occuparsi di pile di scartoffie inutili.

Il compito di tutte queste persone è, detto in breve, quello di convincervi che il loro lavoro non è pura e semplice aberrazione. Nel mondo aziendale, molti dipendenti non hanno aspettato l'inizio del confinamento per convincersi intimamente di non offrire alcun contributo produttivo alla società. Oggi costoro, lavorando quasi tutti a casa, sono costretti a confrontarsi apertamente con la realtà: la parte necessaria del loro lavoro quotidiano viene fatta in un quarto d'ora; meglio ancora, i compiti che devono essere svolti sul posto - posto che esistano - sono eseguiti in modo molto più efficiente in loro assenza. Un angolo del velo è stato sollevato, e gli appelli a "rimettere in moto l'economia" dominano il coro dei nostri politici, terrorizzati dal fatto che il velo possa essere sollevato per sempre se uno si attarda troppo prima di abbassarlo.
Il tema è di importanza cruciale, in particolare per la classe politica, poiché si tratta fondamentalmente di una questione di potere. Tutti questi battaglioni di tirapiedi, scribacchini e tappabuchi di professione, credo che dobbiamo vederli come la versione contemporanea del servo feudale. La loro esistenza è la logica conseguenza della finanziarizzazione, quel sistema in cui i profitti aziendali non derivano dalla produzione o addirittura dalla commercializzazione di un qualche bene, ma da una alleanza sempre più stretta tra burocrazie imprenditoriali e governative, creata per produrre debito privato, e che diventano sempre più opache man mano che colludono sempre più tra di loro

Per fare un esempio concreto di questo sistema: recentemente una artista amica mia ha iniziato a produrre mascherine protettive in quantità industriali per offrirle a chi lavora in prima linea. A quel punto ha ricevuto una nota ufficiale in cui si afferma che non le è permesso distribuire mascherine, anche gratuitamente, senza aver prima ottenuto una licenza molto costosa. Si tratta di una autorizzazione che nessuno potrebbe soddisfare senza chiedere prima un prestito; pertanto, al singolo non viene solo imposto di commercializzare tutto ciò che fa di produttivo, ma anche di fornire all'apparato finanziario la sua quota di tutti i ricavi futuri. Qualsiasi sistema che operasse secondo il principio della semplice estrazione di fondi dovrebbe quindi ridistribuire almeno una parte della torta per conquistarsi la fedeltà di una certa quota della popolazione - in questo caso, le classi dirigenti. Da qui i lavori demenziali.

Come ha rivelato la crisi del 2008, i mercati finanziari globali sono solo strumenti per speculare sulle prossime strategie di ricerca e ottenimento delle rendite - un sistema basato sulla potenza militare statunitense. Nel 2003, Immanuel Wallerstein ha persino suggerito che l'intero consenso di Washington negli anni Novanta si basava su questa realtà: in preda al panico per il declino della dominazione industriale americana e gli inesorabili progressi dell'Europa, dell'Asia orientale e dei paesi emergenti del Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), l'impero americano ha cercato disperatamente di ostacolare il progresso dei suoi concorrenti insistendo sulla "riforma dei mercati", una riforma il cui principale effetto sarebbe stato quello di costringerli ad adottare lo stesso modello di business, vale a dire una burocrazia inetta e dispendiosa come quella esistente negli Stati Uniti. Sono queste le persone che un Donald Trump o un Boris Johnson vogliono rimettere al lavoro a tutti i costi: coloro che fanno non le mascherine, ma le licenze per fabbricarle e commercializzarle.

 

La famosa produttività

È ovvio che staremmo meglio se numerosi posti di lavoro attualmente messi in sospeso venissero presto ripristinati; ma ce ne sono molti di più che sarebbe forse nel nostro interesse non vedere mai più ripristinati - soprattutto se vogliamo evitare una catastrofe climatica assoluta. (Basti pensare alla massa di CO2 vomitata nell'atmosfera e al numero di specie animali eliminate per sempre, al solo scopo di alimentare la vanità di quei burocrati che, piuttosto che lasciare che i loro sottoposti lavorino da casa, preferiscono tenerli a portata di mano in cima alle loro torri scintillanti).

Se tutto questo non ci sembra vero, se non mettiamo in discussione i meriti della ripresa economica, è perché ci siamo abituati a pensare all’economia in termini di questa vecchia categoria del ventesimo secolo, la famosa "produttività". Sappiamo che molte fabbriche hanno chiuso, forse tutte. Sappiamo anche che le scorte di frigoriferi, giacche di pelle, cartucce per stampanti e altri prodotti di uso quotidiano non si generano da soli. Ma se la crisi attuale ci ha permesso di trarre una conclusione, è che solo una piccolissima parte dell'occupazione, e proprio la più necessaria, è veramente "produttiva" in senso classico, cioè produce un oggetto fisico che prima non esisteva.

E la maggior parte dei lavori "essenziali" sono infatti una variante della catena di cura: occuparsi di qualcuno, curare un malato, insegnare a degli studenti, far circolare, riparare, pulire e mantenere in funzione degli oggetti, provvedere ai bisogni di altri esseri o garantire loro le condizioni in cui possono prosperare. Di conseguenza, la gente comincia a capire che il nostro sistema di ricompense è altamente perverso, perché più si lavora per prendersi cura degli altri o per arricchirli in qualche modo, meno probabilità ci sono di essere pagati.

Ciò che è meno percepito è la misura in cui il culto della produttività, la cui principale ragion d'essere è quella di giustificare questo sistema, ha raggiunto un punto in cui si sta inceppando da sé. Tutto deve essere produttivo: negli Stati Uniti, la Federal Reserve [la Banca Centrale] si spinge fino a misurare la "produttività" del settore immobiliare! Dove è chiaro che il termine è un eufemismo per indicare i "profitti".
Ma i dati che provengono da questo organismo dimostrano anche che la produttività nei settori dell'istruzione e della sanità è stagnante. Basta un po' di ricerca per capire che i settori della sanità sono proprio quelli più travolti da quantità oceaniche di scartoffie, con l'obiettivo finale di tradurre i risultati qualitativi in dati quantitativi, che possono poi essere integrati in fogli di calcolo Excel per dimostrare che questo lavoro ha un qualche valore produttivo - ovviamente ostacolando l'insegnamento, l’assistenza o le cure, tutte cose ben reali.

Poiché i contabili e gli esperti nell’efficienza sono stati i primi a lasciare gli ospedali e le cliniche all'inizio della pandemia, molti lavoratori in prima linea e altrettanti pazienti hanno potuto costatare di persona che la macchina funziona molto meglio senza questi dirigenti.

Diventa allora chiaro che le esortazioni a rilanciare l'economia non sono altro che incentivi a rischiare la vita per far sì che i contabili possano ritrovare la strada verso i loro cubicoli. Questa è pura follia. Se l'economia può avere un significato reale e tangibile, deve essere questo: il mezzo con cui gli esseri umani possono prendersi cura l'uno dell'altro, e rimanere in vita, in tutti i sensi del termine. Cosa richiederebbe questa nuova definizione di economia? Di quali indicatori avrebbe bisogno? Oppure, ci sarebbe bisogno che tutti gli indicatori fossero abbandonati per sempre? Se questo si dimostrasse impossibile, se il concetto è già troppo saturo di false supposizioni, faremmo bene a ricordare che l'altro ieri l'economia non esisteva.

Forse il concetto di economia ha fatto il suo tempo.

 


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